Libri
Catalogo minimo delle nostre imperfezioni
“Taccuino delle piccole occupazioni” di Graziano Graziani
di Giulia Eusebi / 5 ottobre
Dopo Atlante delle micronazioni e Catalogo delle religioni nuovissime, Graziano Graziani torna con un romanzo dall’evocativo titolo Taccuino delle piccole occupazioni (Tunué, 2020).
Girolamo Girolimoni – l’assonanza con il nome dell’autore è sì dichiarata ma non per questo scontata – è il protagonista, suo malgrado, di una storia che non è una storia. In Taccuino sono registrati, divisi in cinquantacinque brevi capitoli, i rapporti di Girolamo con il mondo e con le cose, con i sentimenti e con le persone, in una ricerca frammentata di tutti i possibili sé.
Girolamo e l’inflazione, Girolamo e la superstizione, Girolamo e la vertigine, Girolamo e l’entusiasmo, Girolamo e la resa, ma anche l’arredamento degli interni, l’agenda del telefono, il pane: cinquantacinque piccole finestre dove affacciarsi per scorgere di volta in volta una porzione differente dell’universo di quest’uomo decisamente sui generis che, andando dal piccolo al grande, dall’astratto al concreto e viceversa, percorre il flusso narrativo vestendo i panni del bambino, del giovane, dell’adulto e dell’anziano, ma non propriamente in quest’ordine, perché «il tempo, così come ce lo figuriamo, non esiste».
A legare, metaforicamente, questo catalogo minimo dei tanti Girolamo il racconto-confessione, in prima persona e affidato all’amico orologiaio che ascolta senza controbattere, della ricerca lenta ma spasmodica del proprio doppio, che non è un doppelgänger ma è qualcuno che ci permette di «ficcare lo sguardo “dentro” sé stesso, più che “su” sé stesso».
Nato il 29 febbraio, «un giorno che c’è solo ogni quattro anni, e per di più in un anno bisestile, e quindi sfortunato per antonomasia», Girolamo sembra destinato a una vita sempre al confine con qualcos’altro, sempre lì lì per rompersi, o scivolare verso territori ancora inesplorati.
Non è un caso, quindi, che Taccuino delle piccole occupazioni si apra con il rapporto tra Girolamo e il sonno. Girolamo è narcolettico e il sonno lo avviluppa in momenti precisi della sua vita, quando si trova di fronte a una scelta, grande o piccola che sia. La sua narcolessia appare come un meccanismo di difesa, per proteggere ‒ o meglio preservare ‒ la fragilità del proprio io, il quale davanti a un mondo che riconosce sempre meno e che lo paralizza con la sua indifferenza e disuguaglianza sceglie quasi coscientemente di cadere addormentato, anestetizzato come la novella eroina di Ottessa Moshfegh in Il mio anno di riposo e oblio.
Taccuino si delinea come la raccolta di tasselli sparsi di un mosaico, collocati nello spazio non in modo cronologico. Perché Girolamo, oltre ad avere un particolare rapporto con il sonno, lo ha anche con il tempo, con la memoria e con i ricordi che si mischiano tra di loro non permettendogli di districarsi tra passato e presente. «Non riesco a dare un ordine ai frammenti della mia vita». Questo il cruccio di Girolamo, a cui il suo dottore risponde con un altro quesito, ovvero se la catalogazione che sta cercando di compiere è di ordine o di senso. E Girolamo non lo sa, in realtà non sa neppure se c’è differenza.
Forse tutto questo è frutto della smarrita capacità di avere una visione integra del mondo, persa insieme all’infanzia, la capacità quindi di vedere l’invisibile, «le trame nascoste, quelle griglie strampalate e anche un po’ reazionarie che ci siamo costruiti nei secoli come specie umana, che sorreggono miracolosamente il tutto». O forse è colpa di quel Dio di quando era bambino, quell’omone alto, dal camice bianchissimo e dai capelli impomatati, che indossava le vesti terrene del macellaio della macelleria equina.
Ma, in fondo, «la vita [è] un tempismo imperfetto, e mancarsi non è meno nobile di prendersi», proprio come Girolamo dice a Viola ‒ una Viola in cui riecheggia Calvino ‒, quell’amore che ha danzato con lui un ballo fatto di presenze e di mancanze e che ha potuto godere della dimensione dell’eterno proprio grazie a questa impossibilità del protagonista di discernere tra passato e presente.
Il mondo cambia continuamente volto, la città da familiare diventa un non-luogo, e l’uomo per resistere deve trovare una nuova religione, che assume i connotati «di una vocazione all’imperfezione, di una fascinazione per l’oggetto rotto, che pur inservibile resta sempre più luminoso dell’oggetto sano, immerso nella sua ottusità».
L’impresa che compie Graziano Graziani con Taccuino delle piccole occupazioni è quella di illuminare per lampi, come piccoli squarci nell’ipotetico buio della nostra esistenza, tutte quelle questioni escatologiche e non che si parano davanti a noi. E con la formula del catalogo, di cui Graziani è maestro, seguiamo Girolamo tra dubbi, idiosincrasie e imperfezioni che poi, in fin dei conti, sono anche i nostri.
(Graziano Graziano, Taccuino delle piccole occupazioni, Tunué, 2020, 228 pp., euro 14,50, articolo di Giulia Eusebi)