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“Ivan il terribile” di Alcìde Pierantozzi
di Ilaria Caputo / 4 maggio
Ivan il terribile è la storia di un’adolescenza difficile; l’adolescenza di Ivan, di Sara e di Federico, sbocciata su terreni familiari disgraziati e infelici e che ha reso i giovani protagonisti del romanzo aspri, cinici, a tratti cattivi nei gesti e nelle parole.
Riconsiderando a fine lettura il romanzo di Pierantozzi nella sua totalità, lo stato d’animo che permane, lasciando altresì un sapore amaro, è quello di un’inquietudine di fondo che trae origine dalla capacità dello scrittore di saper cogliere e descrivere, nella loro crudezza, scenari di miseria materiale ed emotiva contro i quali si staglia, dibattendosi, la già tormentata, e nel contempo fragile, temperie adolescenziale.
Ivan, Sara e Federico sono la risultante di due differenti realtà: la prima, quella sociale, che plasma e permea l’essere umano dotandolo di un determinato bagaglio culturale; la seconda quella intima, personale, che si nutre di speranze, aspirazioni, desideri, inseguendo i quali il singolo individuo emerge dalla massa distinguendosi per attitudini sue particolari o particolari qualità.
Le storie dei giovani protagonisti sono molto diverse tra loro, ma in verità molto simili: ognuno alle prese con una vita familiare turbolenta, ognuno aggrappato a un sogno e determinato a realizzarlo, per fuggire da una condizione soffocante e avvilente. Ivan, figlio di un disabile, orfano di una madre che lo ha abbandonato in tenera età e uscito da poco da un riformatorio, convive con una rabbia interiore che lo divora, ma sogna di fuggire lontano con un amico conosciuto in carcere, anche lui un disadattato, l’unico, fino a quel momento, ad aver aperto una breccia nella dura corazza di Ivan; Sara, figlia di una donna senza qualità, si guadagna da vivere lavorando in un maneggio, dividendosi tra lo studio, il lavoro, la sua migliore amica e la sua cavalla, allenandosi con impegno per gareggiare in corse equestri che immagina di vincere trionfalmente per riscattarsi da una vita che detesta; Federico, benestante, figlio di una nota artista internazionale, scrive soggetti cinematografici, si nutre di letture colte e, pur provenendo da un ambiente molto distante da quello in cui vive e studia, dimostra grande umiltà e saggezza, una sensibilità spiccata e una maturità insolita per i suoi sedici anni che lo aiuterà a elaborare il lutto per la perdita di sua sorella e a convivere, a causa della stessa, con gli squilibri mentali di sua madre, devastata dal dolore.
La storia, narrata in prima persona e a fasi alterne da Sara e Federico, ruota principalmente intorno alla figura di Ivan, bello, tenebroso e indomabile, che tanta parte avrà nella vita degli altri due protagonisti e che condurrà l’intero plot a un epilogo inatteso e scioccante, svelando d’un colpo chi realmente si cela dietro i soffici riccioli neri e gli occhi verde smeraldo così tanto amati e adulati per l’intera vicenda dai suoi compagni.
«Ivan […] non mi mollava il braccio, sempre con la faccia premuta sul mio orecchio e una mano dietro la schiena che cercava di tirare via la bottiglia. Per un attimo sono rimasto a guardarlo di sbieco senza rispondere niente, senza nemmeno ribellarmi. Ho sentito che il suo alito sapeva di fumo e di latte. I suoi occhi erano pieni di un odio profondo. Erano foglie di menta o monete sporche di muschio in chissà quale lago».
(Alcìde Pierantozzi, Ivan il terribile, Rizzoli, 2012, pp. 324, euro 19)