Cinema
“Oltre le colline” di Cristian Mungiu
di Vanessa Tenti / 2 novembre
Oltre le colline è un film che parla d’amore. Un amore malato però, che si manifesta attraverso dolorosi sintomi dell’anima che nessuno riesce a cogliere e a guarire.
Alina e Voichita sono cresciute insieme in orfanotrofio condividendo ogni cosa, ogni emozione e paura; una volta raggiunta la maggiore età, però, le loro strade si dividono e prendono direzioni opposte: Alina, affidata a una famiglia adottiva, fugge in Germania, paese simbolo di un Occidente corrotto in cui tutto è possibile, anche realizzare i propri sogni di felicità; Voichita invece rimane in Romania e viene accolta da una comunità monastica di fede ortodossa situata poco lontano dalla città, poco oltre le colline.
Il film si apre con l’arrivo in stazione di Alina (Cristina Flutur), tornata al suo paese natale per incontrare l’amica e portarla con sé in Germania, dove già le aspetta un lavoro, con la speranza di poter riallacciare l’intenso legame con lei e di ricominciare una vita insieme. Ma il tempo trascorso e le esperienze vissute hanno plasmato in modo assai diverso le due ragazze e Voichita (Cosmina Stratan), che ha appreso nel monastero l’amore per Dio, non vuole separarsene e si dimostra restia a partire.
Si crea così un violento conflitto tra diversi tipi di amore: da un lato un amore salvifico verso Dio che deve necessariamente essere manifestato con ogni singola azione della propria vita e dall’altro un amore inconfessabile; da una parte l’amore divino, dal quale distaccarsi o solo dubitarne costituisce un grave peccato, dall’altra l’amore terreno che lotta per conquistare il suo posto tra i sentimenti più travolgenti dell’animo umano. Ma se questo è lo scontro di fondo che percorre ogni scena del film, la sua manifestazione è volutamente offuscata e va ricercata nei suoni che accompagnano i dialoghi, nei silenzi e negli sguardi dei protagonisti.
Cristian Mungiu, il regista, già Palma d’Oro a Cannes nel 2007, racconta sapientemente questo conflitto lasciando parlare le immagini e i rumori, non utilizzando toni melodrammatici e fragorosi: lo spettatore viene investito dall’oppressione di un dramma che non esplode mai, che non ha risoluzione se non nel suo animo. Lo scontro avviene infatti all’interno dei personaggi, amplificato dalla cultura che ne permea e guida il pensiero e dall’ambientazione che partecipa alla loro sofferenza, per cui sembra che l’inverno non debba finire mai, né come stagione della narrazione, né come clima interiore di sofferenza. Ogni manifestazione concreta del conflitto, ogni parola pronunciata ad alta voce nel continuo sussurrare della vita monastica, ogni azione che si discosta dall’ordinaria sequenza che ne scandisce il procedere, viene avvertita come sintomo reale di malattia o di possessione da parte del maligno; ma né l’ospedale, né un esorcismo possono guarire quelli che sono i sintomi di un amore malato. E come cieche si dimostrano le strutture sanitarie di un paese ridotto in miseria e le buone intenzioni di comunità religiosa chiusa in se stessa, così cieco diventa quell’amore che finisce per trasformarsi in ossessione.
Sebbene sia ispirato da una storia realmente accaduta, il film si distacca da un intento cronachistico, non cerca colpevoli, non si risolve in alcuna condanna, non indaga probabili cause e nemmeno si sofferma sulle conseguenze, ma tenta di descrivere il lento insorgere di una passione strozzata utilizzando le armi del genere cinematografico – un esempio su tutti l’utilizzo di inquadrature che spesso tagliano il viso dei personaggi e preferiscono osservarne porzioni di corpo, le mani, i movimenti. In questo modo ogni gesto acquista una valenza simbolica che lascia intuire il dramma senza mostrarlo: applicare pezzetti di creta sul camino per arginare le perdite di fumo o toccarsi frequentemente compiendo il segno della croce possono essere letti come la volontà di soffocare un sentimento dalla forza inarrestabile e come il presagio di una finale, drammatica crocifissione.
Oltre le colline non è un film leggero, né per i suoi 155 minuti di durata, né per l’intreccio di temi che diventano il luogo in cui si addensa una tensione funerea, il luogo in cui si fronteggiano i sentimenti senza che possa essere celebrata alcuna vittoria. In ultima istanza, mostra quanto l’amore, se oppresso, possa “sporcare” l’animo umano. L’immagine posta a chiusura dell’opera non fa che renderne metaforicamente testimonianza.
(Oltre le colline, regia di Cristian Mungiu, drammatico, 155’)