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“Il mio regalo sei tu” di Sarah Spinazzola

di Cristiana Saporito / 10 dicembre

Diciotto anni sono un soffio. Appena il tempo di disobbedire e imparare a camminare. Per accorgersi che accanto non c’è più nessuno a erogare monosillabi. Che non c’è neanche un “no” a cui voltare le spalle.

Poi ci sono storie ancora più difficili. Ce lo dimostra la protagonista del primo romanzo di Sarah Spinazzola Il mio regalo sei tu. Lidia poco prima del 2000 ha raggiunto la soglia, lo ha fatto in fretta, forse più di altri coetanei. Perché il suo stagno era angusto, un’adolescenza stretta, inospitale, da cui è preferibile uscire alla svelta. E la maggiore età è piombata all’improvviso. Maggiore poi rispetto a cosa? Verso ciò che è stato o verso ciò che seguirà?

Lidia è cresciuta senza un padre, con una macchia grande quanto il suono del suo nome. È cresciuta nella sua casa spellata, tra mura malconce, con le porte per anni senza maniglie, gli asciugamani lontani dal bagno e un letto fraterno in cui spegnere i pensieri. Con una madre che si è sdoppiata tra mille sudori, che ha fatto il possibile per nutrirle il cuore e non avvelenarlo di accuse moleste, di domande spezzate. E poi, nel bel mezzo di una vita placida, abituata così tanto a se stessa, a sentirsi timida e piccola, quella faccia sconosciuta eppure così simile compare su uno schermo. Suo padre Gian è il conduttore del Tg, parla fluido e sicuro per milioni di persone e a lei non ha mai chiesto: «Come stai?» E allora Lidia ha voglia di ripescarlo da quel silenzio cementato. Decide di  cercarlo e lui sembra aver saputo proprio in quell’esatto momento di avere una figlia. Sembra cambiato, si è innamorato davvero. Si è aperto agli affetti, anche a quelli lasciati ammuffire. Sembra finalmente aver posto anche per lei nel bagaglio delle cose da fare, dei luoghi in cui andare. Lidia scalcia per salire a bordo. Non vuole più seppellire il cuscino di lacrime, non vuole più pensare di non avere diritto all’amore, guardare un bambina che corre verso il papà con un foglio in mano e struggersi per la risposta: «Il mio regalo sei tu». Come se fosse un film a cui si può solo assistere inerme. Pagando il biglietto a debita distanza. Gian è pronto per accoglierla, salvo poi stroncare bruscamente le chiamate non appena qualcosa lo infastidisce un po’. Lidia vorrebbe partire con lui, vorrebbe una vacanza con suo padre, la prima da quando ha memoria e invece, sotto le spire dei suoi consigli, si ritrova in un villaggio turistico a “fare esperienza”. A scrivergli lettere in cui lo guida a casa sua, in cui suppone che entri mentre lei non c’è, in cui lo immagina schivare lampadine fulminate, pareti sbrecciate. Lettere che colmino uno spazio, le crepe lunari di tutti i giorni persi. E in quelle indicazioni apparentemente futili c’è tutta l’impotenza di una figlia orfana, anche con un padre in vita. L’appello sbracciato a una normalità che forse non le spetta.

Non come agogna il suo futuro così giovane. Perché la realtà somiglia solo a se stessa, esiste per fuorviare, per smarcare le premesse. Lidia comprende presto che non tutte le sorprese sono carezze gratuite e inaspettate. Suo padre, ovvero l’uomo che le ha prestato i cromosomi, è più figlio di sua figlia. Più fragile, egoista, deragliato di chi ne avrebbe facoltà. E lei si ritrova risucchiata in un vortice nero e surreale. Una vertigine in cui non le piace ballare. Che dovrà interrompere come un incantesimo.

L’autrice, classe 1983, ci porta attraverso le crepe di questa favola al contrario, con la voce sottile di una bambina ferita, cavalcando una scrittura ingenua, fresca e innocente. Ogni immagine, anche la più dolente, ha il tratto delicato e semplice di un disegno infantile, di colori spontanei che inchiodano i fatti. Parole elementari, ma non sciocche, similitudini frequenti e non scontate. Un uso dei diminutivi ridondante, a tratti fastidioso, volutamente puerile, forse troppo, anche per una diciottenne con una falla emotiva così ampia.

Il risultato finale è quello di un bicchiere d’acqua, che scorre limpido e leggero, ma dentro cui viaggiano invisibili particelle d’ombra e piombo, sogni marciti, fantasie deluse, promesse fatte galleggiare troppo a lungo. Residui che finiscono in gola, lasciando alla bocca ancora sete e metallo.

 

(Sarah Spinazzola, Il mio regalo sei tu, Marcos y Marcos, 2012, pp. 288, euro 16)