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“L’amore graffia il mondo” di Ugo Riccarelli

di Cristiana Saporito / 16 dicembre

Ugo Riccarelli ci ha abituato alle grandi narrazioni. Lo ho fatto con Il dolore perfetto (Mondadori), Premio Strega nel 2004, ruota maestra degli eventi che semina impronte su due famiglie e ritorna (a) se stessa, nell’esatto punto in cui era partita, sfigurando i destini per lasciarli immutati. Ci è riuscito con Le scarpe appese al cuore (Mondadori, 2003), parabola poetica di buio e di rinascita. E ora con L’amore graffia il mondo, dipana ancora una storia capace di attraversare gli occhi. Di proiettarli altrove, in un lontano che comunque resta addosso. Una storia tra i binari.

Comincia così la vita di Signorina, che si chiama come una vettura. Nella casa dei ferrovieri, tramortita, cullata, pizzicata dal borbottio dei treni. Dai loro starnuti, dal tuono sferragliante delle locomotive, in quel paese vicino alle terme che per volere di un politico ha impiegato ben poco a diventare stazione. Cresce con quella tata di metallo, con quella nenia che sbuffa e sprigiona persone, bagagli, pensieri. Cresce con papà Delmo, con i suoi sguardi affilati da ferroviere di marmo, da uomo integerrimo; con mamma Maria, che ha imparato prima ancora di sposarsi quale fosse il suo posto, all’ombra di lenzuola pulite e minestre arroventate. Cresce con un ciuffo di fratelli e un’oca a cui confidare quello che gli altri non sanno ascoltare. Capisce presto, capisce per caso che le sue dita sanno tracciare linee di grazia, che sanno piegare la carta e trasformarla in un miracolo, in una promessa di bellezza per corpi che non conoscono quello splendore. 

Ma non sono anni facili. Il Ventennio fascista impazza e tracima di riflussi arroganti, di passi che offendono il suolo, il potere assoluto gioca al rialzo con la vita degli altri. All’improvviso arriva la guerra, squassa il cielo come se fosse uno sberleffo, una baruffa con le cose che fa saltare in aria. Così come deflagrano i sogni di Signorina, mentre il suo sangue di donna le bagna le gambe. La scuola di sartoria è costretta a chiudere e lei riceve dalla sua insegnante dei quaderni preziosi. Lì c’è il suo testamento, lezioni di taglio e raffinatezza; lì c’è la speranza di ridisegnare il futuro come fosse un modello. Un abito a cui dedicare stoffa e colore, un abito da battezzare con le proprie mani. E Signorina sa che dentro quei fogli scorre il vagone della sua strada. Che il suo talento è già una risposta. Una risposta difficile, una risposta giusta. La guerra finisce, ma lei continua a lottare, contro la malattia del padre, che lo tarla come un mobile zuppo; lotta per ricostruire, mentre il mondo si rimette in piedi. Incontra l’amore senza volerlo, diventa moglie di un uomo fragile e innamorato che vorrebbe darle il massimo e inciampa nelle sue stesse mosse. Signorina si trasferisce per rilanciarsi, per avere finalmente un suo locale, un suo atelier, ma tutto precipita ed è sempre lei a dover risollevare ciò che cade. Anche quando è la prima a schiantarsi. Perché nel suo essere donna c’è tutta la forza negata dalle apparenze, c’è la volontà immersa nel sacrificio. Un sacrificio che si coniuga anche con la maternità. Signorina partorisce Ivo, un figlio debole, che si affanna per estorcere un po’ d’aria. E sta a lei prima accettare di separarsene e poi scavare una stanza nei suoi polmoni, regalargli la musica per farlo respirare. Riccarelli descrive magistralmente la fatica di quel bimbo di strappare l’ossigeno a ogni minuto, della gola che si strizza e si allenta come un mantice, con la stessa sensibilità lirica e sferzante de Le scarpe appese al cuore, afferendo a un’esperienza personale.

La vicenda di Signorina, di una vita immolata sempre a una causa più grande della propria, a un motivo vincente per cui rinunciare a qualcosa di sé, all’amore che non si era sognato così, alla famiglia che chiede di più, che sottrae occasioni per ricambiare con lacrime e sudore, è la stessa di tante donne, costellazioni di donne che hanno vissuto in funzione di un progetto diverso dalle proprie aspirazioni, in funzione di ciò che esigeva la famiglia o il suo contenitore allargato, la società. Riccarelli, con la sua voce fuori campo, sa addentrarsi nel midollo del dolore. Una scrittura matura, sapiente, screziata, che cammina accanto, intorno e in mezzo agli eventi degli ultimi sessant’anni. Per non renderli solo uno sfondo suggestivo, ma l’eco e il deuteragonista dell’intero romanzo. Perché la storia di un uomo, e in questa caso di una donna, si rovescia in quella degli uomini, di intenti più forti che spesso schiacciano i singoli desideri. Mentre i treni passano, ricordandoci quanto è difficile sapere dove andare.

(Ugo Riccarelli, L'amore graffia il mondo, Mondadori, 2012, pp. 228, euro 19)