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“Volga, Volga” di Miljenko Jergović

di Mattia Pianezzi / 12 febbraio

Volga, Volga (Zandonai, 2012) è il terzo romanzo della Trilogia della macchina dello scrittore serbo Miljenko Jergović. Comune denominatore delle narrazioni provenienti dalla ex Yugoslavia è una forte tendenza all’analisi storica, al recupero del passato; Jergović non fa eccezione, scrive di una terra già divisa, di conflitti mai pienamente sedati, coprendo un arco cronologico che va dagli anni Quaranta ai primi anni Novanta.

La macchina di questo romanzo è, ovviamente, una Volga russa, nera («come un pianoforte»). Il protagonista del romanzo, l’autista militare Dželal Pljevljak, l’ha comprata a pochi spiccioli dal suo datore di lavoro, il generale Karamujić, che gliel’ha ceduta qualche giorno prima di andare nella sua casa in villeggiatura e, con una pistola, suicidarsi. Pljevljak con la Volga percorre 116 chilometri ogni venerdì, da quindici anni, per andare a pregare nella moschea di Livno. La Volga è il mezzo, il viaggio è il conduttore dei pensieri e dei ricordi di Pljevljak; con la morte di Karamujić, l’autista rimane solo, finché non conosce l’imam della moschea di Livno, Haris Masud, coltivatore di ulivi ai confini del deserto, scappato dalla guerra in Palestina. Quando anche Masud sparirà all’improvviso, Pljevljak resterà un’altra volta solo. Un’improvvisa tempesta di neve lo condurrà però nel villaggio di Fatumi, a conoscere i Fatumić e il loro capofamiglia Osman. I racconti di Osman e in seguito l’affetto verso la famiglia lo porteranno ogni venerdì a fermarsi a Fatumi portando provviste per tutti, in cambio solo di ospitalità, amicizia, affetti. La prima parte del romanzo finisce quando Pljevljak decide di vendere la sua Volga alla famiglia Fatumić per pochi soldi, così com’era stata venduta a lui; è una prima parte riflessiva, intima, in cui i personaggi vengono tratteggiati, il passato di Pljevljak solo accennato.

Quando sembra non ci sia quasi più niente da dire, inizia la seconda parte, quella per cui Jergović parla di «fantasia documentaria»: un dossier giornalistico spigliato e a tratti ironico su un caso di cronaca nera che vede protagonista proprio il nostro Pljevljak! Se la prima parte era allusiva e delicata, le pagine documentaristiche sono al contrario meticolose e analitiche: vanno a indagare il passato di ogni personaggio, dai genitori di Pljevljak, al suo fratello šejtan, diavolo; raccontano la vera storia della moglie e della figlia di Dželal, della loro assenza, così come dell’imam Masud e di Osman Fatumić, in un gioco di svelamenti continuo e dalla prosa tesa in cui perdersi con immenso piacere. A tratti pare di trovarsi in una Cronaca di una morte annunciata balcanica, pensare a un futuro diverso; ma tutto verte verso il delittuoso finale, fino alle porte della guerra civile iugoslava.

Volga, Volga è un mosaico orientale e Jergović ne incastona i tasselli colorati con una capacità narrativa brillante; si parla della pietà dell’uomo, del senso di colpa, della fede, degli errori e dei modi in cui rimediare. Insomma, della vita.

(Miljenko Jergović, Volga, Volga, trad. di Ljiljana Avirović, Zandonai 2012, pp. 299, euro 16)