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“Sul fondo del mare c’è una vita leggera” di Lucrezia Lerro

di Barbara Bianchini / 10 aprile

Sul fondo del mare c’è una vita leggera (Bompiani, 2012) è il titolo del quinto romanzo di Lucrezia Lerro, scrittrice e poetessa italiana originaria di Omignano in provincia di Salerno. Ancora una volta, il paesaggio che fa da sfondo alla narrazione è un paesino del sud, dalla mentalità ristretta, dove gli abitanti sparlano di tutto e tutti per ingannare il tempo e dove «la gente non lavora, non guadagna e non compra».

La scelta della prima persona catapulta da subito il lettore nel turbinio di parole e idee che volteggiano, senza sosta, nella mente di Piero, soprannominato “Cibicotti” dai compaesani per via di un cartello che il padre aveva affisso fuori al suo ristorante.

Piero viene condotto dal suo sproloquio sulle spiagge di Palira facendo rifiorire, sotto un caldo sole estivo, il ricordo delle ragazze milanesi in vacanza, delle belle giornate trascorse in compagnia di suo fratello, per poi lasciare il passo alla malinconia che accompagna il periodo delle feste natalizie per chi non ha nulla di cui gioire. Piero non ha regali da fare né da ricevere. Lui odia il Natale, lo considera il giorno più brutto dell’anno, eppure vuole rubare il presepe fatto in parrocchia per portarlo a casa e far piacere a sua moglie, la sua Bella.

Piero, a più riprese, regala al lettore frammenti di sé definendosi come quello che non può rendere felice nessuno perché non sa cosa sia la felicità, lui che va in giro per casa con le mutande in testa o che parla da solo ad alta voce per farsi compagnia, lui che vive di dettagli, di particolari che gli riempiono la mente mentre sogna «una vita senza spazi da riempire, da passare con le donne sulla Litoranea di Salerno».

Piero non riesce a vivere con serenità. Troppo tempo libero, troppi pensieri.

Piero è stato saccheggiato, depredato della sua innocenza. Le radici del suo male sono da ricercare all’interno della sua famiglia, dalla quale, fatta eccezione per il fratello, sente di aver ricevuto «solo un carico di merda».

«È tutto vero… È vera anche mia mamma, la stronza, che mi vorrebbe ancora spogliare come faceva quando ero piccolo».

Il personaggio di Piero fa trasparire il percorso formativo dell’autrice, laureata in Psicologia e Scienze dell’Educazione.

Piero non ha chiaro cosa gli succede, ma è consapevole di avere dei pensieri fissi, di avere una cosa dentro che non potrà mai cambiare. Nel suo soliloquio semina sintomi, attribuisce la responsabilità del suo malessere al rapporto con la madre, quella prima donna che dopo averlo generato lo ha svuotato, danneggiandolo a vita.

«Io mescolo sempre tutto e non so bene quello che è successo davvero e quello che invece è solo nella mia testa». Di fronte a questa esclamazione ogni dubbio diventa lecito.

Sul fondo del mare c’è una vita leggera è una lettura scorrevole, anche se a tratti ridondante e contaminata da qualche forzatura nella costruzione del personaggio.

 

(Lucrezia Lerro, Sul fondo del mare c’è una vita leggera, Bompiani, 2012, pp. 108, euro 16)