Libri
“Santa Evita” di Tomás Eloy Martínez
di Gianluca Di Cara / 3 giugno
Altruista e populista, rivoluzionaria e reazionaria, santa, martire e cagna: tutte queste dicotomie riassumono la controversa figura di Eva Duarte de Perón, amata quanto odiata, pericolosa da viva quanto da morta. Santa Evita di Tomás Eloy Martínez (Edizioni SUR, 2013) è un successo editoriale molto particolare, forse addirittura unico, che occupa una posizione centrale a metà tra il romanzo storico e il saggio e che cerca di ricostruire la figura della leader spirituale dell’Argentina a partire – ebbene sì – dalla sua morte. La storia di Evita, infatti, non si ferma al 26 luglio del 1952, quando è vinta dal cancro dopo aver raggiunto una posizione di estremo rilievo nel panorama politico argentino, ma prosegue: il corpo, imbalsamato dal medico spagnolo Pedro Ara, diventa oggetto di venerazione da parte dei descamisados, ovvero di tutto quel popolo cui lei si era dedicata con opere di carità che ancora oggi si fatica a comprendere a fondo – sono il risultato di uno spiccato senso di altruismo, di un populismo senza uguali o della brama di diventare a tutti gli effetti la donna più amata del paese?
Il corpo, trattato con miscele chimiche particolari, raggiunge l’immortalità: più bello che negli ultimi mesi di vita grazie al complesso lavoro di Ara, che infaticabile continua a prestargli le necessarie cure, giace magnificamente insepolto all’interno di un edificio militare di Buenos Aires fino alla caduta di Perón. Il mito della «madre degli argentini» persiste, e ancora oggi il suo nome non lascia del tutto indifferenti sebbene, nel tempo, le voci che acclamavano alla sua santità siano state in parte coperte da quelle dei detrattori. Tra la trascrizione di un’intervista, il costante approfondimento delle fonti e la ricerca dei protagonisti della storia pubblica e privata di Evita, Eloy Martínez sa intrigare il lettore, spingendolo a voler sapere di più su questa figura così carismatica e sui suoi viaggi post-mortem.
Per quanto surreali possano sembrare le vicissitudini del cadavere, quasi tutto ciò che viene narrato all’interno del libro è materiale documentato, pochissimo è lasciato alla licenza poetica: il nuovo governo istituitosi dopo la caduta del “tiranno” incarica il colonello Carlos Eugenio de Moori Koenig, oppositore dei Perón, di sbarazzarsi del corpo e di seppellirlo, con l’aiuto di una limitata squadra di militari. Lo stretto contatto del gruppetto con il corpo di Evita porta a conclusioni inattese: stremati dai ripetuti spostamenti del feretro, costantemente seguito da candele e fiori che appaiono come per mistero, nonostante la segretezza con cui vengono condotte le operazioni, i membri del team si trovano al centro di situazioni ingestibili e ben presto riconoscono di avere davanti un nemico troppo grande da combattere: «quel corpo è l’intera Argentina», è tutto ciò che rappresenta, anni di malgoverno ma anche anni di amore incondizionato nei confronti della madre del popolo, che dal popolo ora viene difesa con forza e minacce. Il piano del governo va a buon fine: crea copie del cadavere che vengono sepolte in segretezza in varie parti del mondo al solo scopo di non dare ai peronisti una qualsiasi sepoltura da ergere a mausoleo e a potenziale focolaio di rivolta. La vera Evita riposa per anni sotto falso nome al Cimitero Monumentale di Milano: tornerà nella sua Buenos Aires solo negli anni Settanta, portando con sé un carico morale da cui anni di peregrinazione non sono ancora riusciti a liberarla.
L’eternità «inquieta e instabile» del cadavere è senza dubbio il focus narrativo, ma non è la morbosità il target dell’autore: il suo proposito sembra piuttosto essere quello di mettere davanti ai nostri occhi fatti e testimonianze da lui raccolti in prima persona per portarci ad avere una visione il più possibile oggettiva della figura della più famosa first lady argentina e a crearci un’opinione nostra. Da un lato narra delle enormi opere caritatevoli di Evita, dall’altro, per esempio, investe un intero capitolo a parlare di un certo Astorga che, nelle tre sfortunate occasioni in cui ha avuto a che fare con Evita, non ha ottenuto nulla, se non propaganda e frasi fatte. Se da un lato ci narra di persone che hanno visto la Perón avvolta dalla luce librarsi a un metro da terra durante uno dei suoi celebratissimi discorsi, dall’altra ce la descrive con gli occhi di Moori Koenig: «una donna rozza, quasi analfabeta, arrampicatrice, una serva scappata dal pollaio».
Sessant’anni non bastano a definire una figura così complessa, ancora oggi infinitamente amata e infinitamente odiata, ancora oggi oggetto di segreti. Questo libro, però, ci aiuta a farlo, e molto bene.
(Tomás Eloy Martínez, Santa Evita, trad. di Silvia Meucci, Edizioni SUR, 2013, pp. 433, euro 16)