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“La sindrome dell’ira di Dio” di Giovanni Di Iacovo

di Valentina Bari / 3 luglio

Dio (non proprio quello da cui deriverebbe la terribile sindrome, per intenderci) benedica Giovanni Di Iacovo: era da tempo che non mi innamoravo di un romanzo così meraviglioso, straniante, divertente e dal ritmo incalzante come La sindrome dell’ira di Dio (Zero91, 2013), testo a metà tra l’onirico e l’agghiacciante realtà umana. Di Iacovo, classe 1978, è autore di altre interessanti opere letterarie (per la sottoscritta, amore a prima vista già dai titoli) tra cui Sognando una cicatrice (Castelvecchi, 2000), Sushi Bar Sarajevo (Palomar, 2007), Biancaneve e i sette operai Thyssenkrupp (Neo, 2008) e Tutti i poveri devono morire (Castelvecchi, 2010).

L’eroina di questo testo a metà tra noir e romanzo di formazione (suddiviso in tre parti) è Liebe Wallace, escort sensuale e brillante a cui manca l’occhio sinistro («vallo a capire perché!»). In seguito all’incontro con un’ambigua cliente di origini haitiane, Magloire, Liebe verrà catapultata in un universo magico e carnevalesco, caratterizzato da una galleria di personaggi grotteschi e, a primo impatto, ricchi di nonsense: l’atmosfera che si respira è quella di una sorta di fiaba squisitamente oscura, che ricorda alcune opere di E.T.A. Hoffmann, Lewis Carroll e Tim Burton. Durante questa avventura mozzafiato, Liebe non solo giungerà a comprendere la verità su chi è veramente (in primis del perché si ritrovi con un occhio solo), ma verrà a conoscenza di come sia realmente nato il virus HIV – alias sindrome dell’ira di Dio – del fatto che esista un antidoto per debellare questa terribile malattia, e scoprirà la storia dei suoi diabolici ideatori, un gruppo di scienziati fondatori, a loro volta, di una specie di micronazione (ovvero una comunità autoghettizzata e asettica) in Texas. Il protagonista maschile, Victor Lockwood, è un folle ma geniale erotomane nonché fondatore dell’omonima Repubblica Democratica, situata nel cuore di Londra, in cui coesistono tre tipologie di cittadini: i Freaks, cioè donne barbute, gente con deformità spettacolari e acrobati mutilati; i Perdenti, ovvero disoccupati cronici, falliti, disgraziati «senza nessuna qualità monetizzabile!; i Morituri, malati terminali di Aids. Qual è il fil rouge che lega la bella «ciclopina» al «ragazzo dagli occhi viola»? Be’, ovviamente l’amore, di quelli così intensi e romantici da rievocare l’affascinante binomio eros-thanatos.

L’autore pone dunque l’accento su varie tematiche aberranti della società odierna come la spettacolarizzazione della morte, il razzismo galoppante e il putrido bigottismo da sempre ben radicati, la paura e l’orrore per tutto ciò che è diverso, che trascende gli schemi e le regole della società tremendamente ignorante e perbenista. Insomma, se ancora non vi ho convinti, vi svelo anche che per ogni capitolo (trentadue in tutto) l’autore pone in esergo un brano musicale con cui ne consiglia la lettura (cito, tra i miei preferiti, Depeche Mode, Portishead, The Cure, Iggy Pop, Massive Attack…) compiendo una meravigliosa sinestesia vista/udito. Perché, come afferma Di Iacovo: «Questo è un libro per tutti coloro che non hanno paura di vivere la vita in modo pieno e completo: a loro piacerà perdersi nelle mie storie, nelle mie pagine e scoprire la bellezza nelle diversità». Amen.

 

(Gianluca Di Iacovo, La sindrome dell’ira di Dio, Zero91, 2013, pp. 208, euro 15)