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“Sottovuoto” di Alice Banfi

di Barbara Bianchini / 24 ottobre

In Sottovuoto, Alice Banfi torna a dar voce, con il suo romanzo autobiografico, al dibattito sulla salute mentale, iniziato nel 2008 con il suo primo libro Tanto scappo lo stesso.

Nel 1978, la Legge n°180, “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, meglio conosciuta come Legge Basaglia, dal nome dello psichiatra promotore della riforma psichiatrica in Italia, ha imposto la chiusura dei manicomi, ritenuti fino a quel momento luoghi di contenimento sociale dove l’intervento terapeutico e riabilitativo sulla persona veniva fortemente influenzato e limitato dall’approccio clinico: «Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione», affermò Basaglia in un’intervista.

Eppure, Alice Banfi nel suo “romanzo psichiatrico” racconta di esperienze attuali in cui ha subito, in prima persona, contenzioni fisiche, psicologiche e farmacologiche, percepite come cure per i medici e vissute come torture da lei e dagli altri pazienti.

Nei reparti di alcuni SPDC, Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Alice ha sperimentato la violenza, sia da parte del personale sanitario, che da parte degli altri ospiti presenti in struttura, scegliendo anche lei l’aggressività come modalità relazionale utile per sopravvivere in quei luoghi non-luoghi, in cui la vita si consuma senza rendersene conto, fra una sigaretta e un’altra e cocktail di psicofarmaci e alcool: «Ogni volta che entravo a Villa Crispina mi sembrava di andare in guerra, dovevo schiacciare gli altri per non essere schiacciata… se non volevi che ti derubassero dovevi rubare, se non volevi che ti insultassero dovevi urlare più forte, se non volevi che ti picchiassero dovevi saper picchiare, darne dimostrazione e aggregarti al gruppo delle più forti».

Alice è stata ricoverata in strutture con sbarre e finestrine messe in alto, posti in cui non era possibile tenere neppure i lacci alle scarpe, dove la libertà personale veniva umiliata con i legacci ai polsi e alle caviglie, dove i pazienti venivano costretti nel letto, immobili e in silenzio.

Da questo senso di claustrofobia, di ovattato, nasce la sensazione di essere, appunto, sottovuoto: «Non sognavamo la guarigione, aspettavamo passare il tempo, aspettavamo fumando».

Alice Banfi, con naturalezza, propria solo di chi ha vissuto questi luoghi in prima persona, mostra al lettore la crudeltà di un sistema che, a distanza di oltre trent’anni dalla riforma Basaglia, fatica a cambiare.

In una logica istituzionale caratterizzata da influenze di dominio e potere, sembra non esserci spazio per la costruzione di una relazione empatica nel rapporto medico-paziente e, anche l’alleanza terapeutica non trova modo di svilupparsi. L’effetto è devastante. La “riabilitazione” sociale, lontana.

«All’inizio di questo percorso mi sentivo sorella di chi soffriva come me e come me viveva ricoverato. A metà strada ero diventata carnefice e contribuivo all’orrore, distruggendo e odiando tutto ciò che incontravo, soffocando il più possibile i sensi di colpa, giustificandomi con la malattia […] Ho incrociato per pura casualità anche luoghi buoni, in cui le porte e le finestre erano aperte e a fermare le mie fughe disperate e la mia rabbia erano le parole delle persone, le parole di infermieri, operatori e medici […] Ho ritrovato quello che avevo perso di me, per la strada, nei vari reparti […] pezzettino per pezzettino.Questo mi ha permesso di riappropriarmi della mia coscienza e della mia responsabilità sparite in conseguenza della privazione di libertà e dignità. Ho scelto che parte volevo nella vita, che ruolo rispetto agli altri […] Alla fine mi sono trovata».

Con il suo romanzo, Alice mette a disposizione la sua esperienza, spogliandosi della vergogna, delle umiliazioni subite, giudicando anche i propri comportamenti devianti, per fornire al “mondo” una realtà quanto più dettagliata e veritiera possibile, nel bene e nel male.

La storia di Alice racconta di un viaggio nel tunnel e la fuoriuscita, possibile solo quando l’istituzione si incarica di tutelare la persona prima di tutelare se stessa e dove gli interventi ruotano attorno alla persona ricoverata ponendola al centro dell’attenzione all’interno delle strategie di intervento.

Per il lettore che non ha conoscenza, neppure teorica, dell’esistenza di questi posti, Sottovuoto è un viaggio crudo in caduta libera. Per chi ha dimestichezza con queste tematiche, questo “romanzo psichiatrico” rappresenta un ottimo strumento di riflessione nell’ambito delle politiche socio-sanitarie.


(Alice Banfi, Sottovuoto, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2012, pp. 127, euro 13)