Libri
“On the road with Bob Dylan” di Larry Sloman
di Matteo Chiavarone / 14 febbraio
A volte si dice che per entrare nel mito un artista deve compiere almeno un gesto che rimane impresso, in maniera indelebile, nel cuore e nella testa delle persone. Altre volte, ma succede raramente, i gesti di quell’artista si ripetono, si modificano, si realizzano come in un moto continuo e instancabile.
Questo è il caso per esempio di Robert Zimmerman, alias Bob Dylan, cantautore capace di plasmarsi al tempo e allo spazio, lasciando i segni del proprio passaggio in un arco temporale che ricopre la seconda metà del Novecento e arriva ai nostri giorni.
Ma in quella storia incredibile di musica, di ballate folk e di protesta, di rock puro e influenze, di collaborazioni, di poesia e letteratura, di nobel sfiorati, c’è un evento che rende eterna la leggenda dell’autore di “Blowing in the Wind”, “Hurricane”, “Just like a Woman”, “Like a Rolling Stone”.
Si tratta naturalmente del Rolling Thunder Revue, una tournée considerata una tra le pietre miliari della storia della musica.
A raccontarci questo “viaggio” ci ha pensato Larry “Ratso” Sloman, allora giovane inviato di Rolling Stone e il cui soprannome gli venne affibbiato da Joan Baez.
Il libro in questione, On the road with Bob Dylan (minimum fax, 2013), uscito in Italia l’autunno scorso, riesce a ricreare le atmosfere del tempo, facendoci sentire parte di quel meraviglioso e incredibile tour.
Un ottimo testo, sicuramente uno dei migliori usciti sulla figura Bob Dylan la cui bibliografia non è, ahimè, sempre all’altezza, che ci prende per mano e ci fa tornare indietro in quel 1975, che chissà in quanti avrebbero pensato sarebbe diventato un momento di svolta della musica rock e del concetto stesso di musica dal vivo.
Il periodo del tour è quello di dischi incredibili, quali Blood on the Tracks e Desire, delle sperimentazioni che avrebbero portato il grande Bob alla mistura perfetta tra più generi musicali.
I toni più graffianti e una maggiore attenzione a tutti quegli elementi fondamentali per la musica moderna si abbracciavano, sempre di più, a una poesia altissima, un lirismo al tempo interiore ed esteriore, profondamente americano e totalmente internazionale.
Sloman, che ha avuto la fortuna di essere attore partecipante di quel grande passaggio dell’opera dylaniana, riesce a fuggire dal reportage nudo e crudo per creare un’opera ambiziosa e completa. Così l’attenzione si focalizza su quella squadra di “fenomeni” messa assieme da Bob Dylan: Joan Baez, Eric Clapton, Joni Mitchell, Arlo Guthrie, Ramblin’ Jack Elliott, il poeta Allen Ginsberg (il cui “Urlo” stava già scuotendo le coscienze di tutti gli americani) solo per citarne alcuni.
Tutto appare come un catalogo: interviste, chiacchierate tra amici, litigi, ricordi (come la scena commoventi della visita alla tomba di Kerouac).
Nessuno come Sloman può raccontare il “viaggio” iniziato a Plymouth e culminato nello spettacolo di beneficenza al Madison Square Garden (The Night of the Hurricane) e nessuno come Bob Dylan può, dall’alto dei suoi settanta anni e passa, ergersi a simbolo di un’erranza musicale che per lui non vuole cessare neanche oggi.
Un sogno che da quel lontano 1975 ci accompagna, ci scuote e ci riconcilia con quella bellezza profetica tanto agognata.
(Larry Sloman, On the road with Bob Dylan, trad. di Chiara Baffa, minimum fax, 2013, pp. 552, euro 18)