Varia
“Medea”, regia di Pierpaolo Sepe
di Sabrina Sciabica / 3 aprile
Medea, l’ira funesta. Medea, ovvero l’esempio di come l’energia e la potenza di un sentimento, se mal incanalate, possano diventare letali, vorticose, irreparabili. Anti-eroina per eccellenza, maga-strega con una tremenda sete di vendetta, impaziente, precipitosa, la Medea di Pierpaolo Sepe è anche strazio, sofferenza, abbandono e solitudine che si contorce, geme, si dilania.
Una toccante Maria Paiato apre e chiude la scena con un delirante monologo, e la sua inquietante eco, per questa tragedia dell’ira e del dolore. Medea è immediatamente rappresentata in tutto il suo dramma esistenziale: una donna abbandonata dal marito, in una terra che non è la sua, a cui il re ordina violentemente di allontanarsi per sempre dai suoi cari.
Per Giasone, quasi un Ponzio Pilato in abiti alla moda e guanti di pelle che ignora tutti i segnali di allarme e sembra non volersi sporcare le mani, Medea ha compiuto delitti e sacrificato ogni cosa. Lui, invece, colpevole di superficialità, non intuisce minimamente la tragedia che sta per compiersi. Non considera che l’amore smisurato può tramutarsi in odio viscerale, che il volto di una donna, per eccellenza generatrice di vita, può diventare il volto del male, generare morte.
Medea è disperazione e infelicità perché una simile vendetta non ripaga. Nella sua mente squilibrata uccidere i figli è la rivalsa per il torto subito, ma nella realtà equivale a uccidere la vita stessa, a un rifiuto totale dell’esistenza. Questa donna è folle di una rabbia che la rende cieca. Vestita interamente di nero, il viso coperto da un velo bianco, e il corpo, sotto quei panni, continua a tremare, con mani colleriche che non riescono a fermasi un attimo, dita come artigli che fremono e comunicano angoscia e furore incontrollabili.
Lo spettacolo, tuttavia, non è un atto di accusa, e in questo modo reinterpreta il testo e ne fa un’assoluta novità. La storia viene attualizzata e il colpevole diventa l’essere umano stesso poiché il male è in ognuno di noi, nell’egoismo, nella paura del prossimo, nel chiamare “diverso” un individuo che è fatto della nostra stessa carne. Nell’ultimo monologo si accenna a rifugiati politici, a prigioni e a torture, a schiene piegate dal dolore, ansimanti, come la protagonista stessa. Non siamo forse tutti quanti di un’unica “razza umana”? La peggiore, se continua a uccidere i propri simili, esattamente come fa Medea coi suoi figli.
«La sua furiosa ira deflagra, le fondamenta collassano e ciò che si mostra con mostruosa vividezza è la radice oscura di una colpa tanto universale da non avere più colpevoli. Le macerie lasciano la scena vuota di ogni ricostruzione, il futuro non è che lo spettro mostruoso di questo nostro atroce rimosso»afferma Sepe che realizza la splendida regia dello spettacolo in cui regna un silenzio disumano, intervallato da voci urlanti, musiche metalliche e rumori più o meno costanti, come i battiti di un cuore accelerato.
La scenografia fa pensare a uno spazio saccheggiato, in cui qualcuno abbia distrutto la mobilia e rotto i vetri delle finestre. Un luogo devastato, la Terra Desolata di T.S. Eliot, dove non esiste più giustizia ma solo inutili e violente vendette. Pochi colori ad accentuare la tragedia: prevalenza di nero, buio come la notte eterna della morte, bianco di luci fredde e dolorose e tracce di rosso sangue. Attori impeccabili, straordinari, perfetti nei loro ruoli, in uno spettacolo che pone mille interrogativi, che lascia qualcosa dentro lo spettatore. Assolutamente da vedere.
Medea
di Seneca
Regia di Pierpaolo Sepe
Traduzione e adattamento di Francesca Manieri
Con Maria Paiato
E con Max Malatesta, Orlando Cinque, Giulia Galiani, Diego Sepe
Prossime date:
Roma, Teatro Eliseo | 1-17 aprile 2014
Parma, Teatro Due | 15-16 maggio 2014
Torino, Teatro Carignano | 20-25 maggio 2014