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“Il ring invisibile” di Alban Lefranc
di Roberto Nugnes / 8 aprile
Cosa si nasconde dietro la faccia tesa e impertinente di una delle più grandi icone sportive e sociali del Novecento? Cos’altro si potrebbe aggiungere a ciò che non è stato già detto attraverso l’emozione diretta delle cronache sportive, dei racconti, delle biografie autorizzate e non, riguardanti il suddetto personaggio? Ci ha provato il poeta e traduttore francese Alban Lefranc, che attraverso un abile proprietà narrativa, si fa carico della biografia di Muhammad Ali, per poi trasporla e romanzarla nel suo ultimo lavoro, Il ring invisible (66tha2nd, 2013).
Lo scrittore sembra voler rivivere in prima persona la vita di quello che nacque come Cassius Clay, The Greatest of All Time, compiendo così un viaggio a ritroso, andando a contestualizzare parole e stati d’animo per riportarci infine le atmosfere più intime sfuggite alle cronache ufficiali.
Lefranc dimostra di conoscere appieno la vita del campione, di averne appreso i fatti e di averli analizzati, senza però mai trasformare la ricerca in un semplice atto documentarista. Lefranc romanza i fatti così come tv, radio e giornali li hanno raccontati, e rivivendo gli anni del campione in prima persona ne ricostruisce il suo background.
Dove nasce il giovane Cassius, come si forma la sua sfrontatezza; c’è il racconto ufficiale, l’aneddoto di una bicicletta rubata e la voglia di volerla far pagare a suon di cazzotti al ladro sconosciuto, e poi c’è tutto il resto, le strade di un’America razzista, che ghettizza e s’impone, agli albori della grande rivolta dei neri d’africa, stanchi d’esser schiavi, e poi ospiti indesiderati in un paese che lì li ha trascinati a forza.
C’è la morte del giovane Emmett Till, delitto di chiara matrice razzista, di cui il giovane Clay si fa carico: «Ascolta, Emmett, ascolta la mia promessa: a te che non hai più una faccia, io darò la mia. Andrai per il mondo con i miei occhi e la mia bocca, sotto la protezione dei miei pugni». Poi ci sono le parole di Martin Luther King, troppo diplomatico per i suoi gusti, a cui è meglio contrapporre Malcom X, e la sua voglia di rivalsa ben più forte e netta.
Lo scrittore rivive dunque tutta la sua formazione, la fine di Cassius Clay e la nascita di un nuovo americano, di un nuovo nome, la costruzione di una coscienza sociale e politica chiara e forte come i suoi pugni, sempre più potenti e precisi, e come la sua bocca, sempre più tagliente e ferrata. Si va dall’oro delle Olimpiadi di Roma del 1960, sino alla conquista del titolo mondiale, anni in cui la box si apprestava a vivere il massimo del suo splendore.
Alban Lefranc, specializzato nel romanzare autobiografie di grandi personaggi come Rainer Werner Fassbinder o la rockstar Nico, riesce con quest’ultima a narrare la storia di un’icona in cui ogni parola potrebbe risultare superflua. Rieditando ogni fatto con grande sagacia narrativa e poetica, e soffermandosi sotto i riflettori spenti e i dietro le quinte di uno spettacolo perenne, riesce appieno nell’intento di non risultare didascalico, andando oltre il semplice ritratto biografico.
(Alban Lefranc, Il ring invisibile, trad. Daniele Petruccioli, 66tha2nd, 2013, pp. 149, 15 euro)