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Cinema

[LostInTranslation] “We are Marshall” di Mcg

di Francesco Vannutelli / 29 aprile

Parte da una storia vera, We are Marshall, film del 2006 mai arrivato nelle sale italiane (e neanche in dvd o in televisione): l’incidente aereo del 4 novembre 1970 che decimò i Thundering Herd, la squadra di football della Marshall University, Virginia occidentale, in cui persero la vita circa settanta persone tra giocatori, staff tecnico, tifosi e membri dell’equipaggio al rientro da una trasferta.

L’incidente viene liquidato nei minuti iniziali del film, senza spettacolarizzazioni. La comunità di Huntington è sconvolta dalla tragedia. Ovviamente, non sono morti solamente giocatori, ma figli, fidanzati, amici. Pensare di portare avanti il progetto di football dell’università sembra inimmaginabile per il consiglio di amministrazione, ma il capitano Ruffin, che non era sul volo per un infortunio, non è d’accordo e con lui gran parte degli abitanti della città. Bisogna far rinascere i Thundering Herd per onorare i morti. Nessuno ha il coraggio di assumersi l’impegno di allenare una squadra che non esiste, tranne Jack Lengyel che dall’Ohio si offre come coach. Dovrà inventarsi giocatori reclutandoli da altri sport e forzando la mano sui regolamenti per l’età minima, ma alla fine riuscirà a restituire a Huntington la sua squadra e qualcosa in grado di far dimenticare il disastro.

Doveva essere un grande successo, We are Marshall. La regia di quello che all’epoca era un re Mida di Hollywood come Mcg, la presenza della star del lanciatissimo Lost Matthew Fox e di Matthew McCounaghey, che se nel 2006 non era sinonimo di qualità lo era sicuramente di incassi, dovevano portare spettatori a migliaia nelle sale di tutto il mondo. Eppure non è andata esattamente così. Costato troppo (si stima intorno ai 65 milioni di dollari), non riuscì a coprire il budget investito e non ottenne sbocchi sui mercati internazionali.

Non è però un film da buttare, We are Marshall, anzi, è un film che vale la pena recuperare. È chiaro, è permeato di retorica sportiva alla maniera statunitense, quindi sulle opportunità di ripresa dopo una caduta (non solo simbolica, in questo caso) e su quanto il senso di appartenenza e di comunità sia superiore a ogni tipo di forza, ma riesce a non essere retorico nel suo messaggio – con l’eccezione delle musiche di Cristophe Beck che sono proprio il classico esempio di colonna sonora epico/patetica. Saturo di valori positivi di etica sportiva celebrati più e più volte dal cinema Usa (solo in ambito football si ricordano, in ordine sparso, Quella sporca ultima meta, Colpo secco con Paul Newman, In amore niente regole di Clooney, Blind Side del 2009 che è valso un Oscar a Sandra Bullock – e non è mai stato distribuito in Italia -, Ogni maledetta domenica di De Palma, anche se è leggermente più critico, fino alla serie tv Friday Night Lights amata da Obama), We are Marshall offre uno spaccato convincente di quello che è lo sport nella vita di una comunità: un aggregante, un’identità condivisa, un codice genetico unico. La cicatrice dello schianto dell’aereo si forma lasciando che i lembi del dolore si riuniscano sopra la ferita della perdita, a riformare la squadra come una nuova pelle.

Lo capisce per primo il coach Lengyel, un esterno che ha però il coraggio di comprendere il senso del tifo e dello sport per se stesso: non è sempre possibile vincere, ma una vittoria, in senso decoubertiano, può essere data anche dalla semplice partecipazione.

La critica si concentrò principalmente sulla regia di McG, inadatta con il suo dinamismo a un film drammatico (ma gli va dato atto che le partite, proprio per il dinamismo, sono spettacolari) e sulla recitazione di Matthew McCounaghey, all’epoca ben lontano dall’apprezzamento universale. Con la bocca storta e le spalle curve, il suo coach è in verità un personaggio carismatico e di enorme carica, il fulcro su cui fa leva l’intera trama di rinascita dei Marshall.

A distanza di anni è interessante osservare We are Marshall come momento di svolta nella carriera di Matthew McCounaghey. Confinato nei primi anni del 2000 nelle cosiddette shirtless comedy in cui il suo sforzo attoriale si limitava a mostrare addominali e sorrisi, nonostante alcuni ruoli in film rilevanti nel biennio 96-97 (Il momento di uccidere, Contact, Amistad), con We are Marshall McCounaghey getta le basi di quella che da alcuni è stata chiamata McConaissance (neologismo improbabile formato da McCounaghey e Renaissance, Rinascimento): la maglietta resta al suo posto, i successi al botteghino diminuiscono ma aumentano la cura nella scelta dei ruoli e le collaborazioni con registi interessanti (non sempre riuscite, in verità) fino all’apoteosi Oscar di Dallas Buyers Club. Oggi è l’attore più apprezzato in circolazione, all’epoca, solo il più desiderato.

 

(We are Marshall, di McG, 2006, drammatico/sportivo, 124’)