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“Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna” di Giorgio Terruzzi

di Simone Schezzini / 14 maggio

Che le vibrazioni non fossero quelle giuste in quel week-end di Formula Uno, a Imola, a cavallo tra aprile e maggio del 1994, lo si capì quasi subito, già al venerdì, durante le prove libere nel momento in cui l’auto di un giovane pilota brasiliano, Rubens Barrichello, giunta alla Variante bassa, prese un cordolo come una rampa e decollò fino a sbattere contro le protezioni per poi atterrare e capovolgersi; il ragazzo sopravvisse ma che Dio non si fosse solo distratto un attimo, ma che fosse in vena di capricci, come scrive Giorgio Terruzzi in Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna (66thand2nd, 2014) nella collana Vite Inattese, se ne ebbe la certezza già il giorno successivo, durante le qualifiche ufficiali quando l’ultimo arrivato, il trentaquattrenne austriaco Roland Ratzenberger sbatté violentemente all’altezza della curva Villeneuve. Un impatto devastante, a oltre 300km/h. Le immagini non lasciarono molte speranze e neppure l’affannarsi dell’equipe medica guidata da Sid Watkins riuscì, stavolta, a cambiare il corso del destino. Il paddock intero si raggelò e scese sul circuito una cappa di tristezza. Lo show però doveva andare avanti. Troppi interessi, troppi soldi…

Ayrton Senna aveva iniziato quel 1994 in sordina. Nelle prime due gare due ritiri. Zero punti. Un giovane e ambizioso tedesco di nome Michael Schumacher era il leader del mondiale. Al pilota brasiliano, l’indiscusso numero uno dopo il recente ritiro dalle corse di Alain Prost, non piaceva questo ragazzotto. Probabilmente, nel suo intimo, rivedeva persino sé stesso nel teutonico. Entrambi, certamente, non difettavano né di arroganza né di spavalderia e, soprattutto, di talento. Proprio per questo il tre volte campione del mondo, giunto alla terza gara del Mondiale, non poteva più permettersi alcun errore. Adesso guidava anche la monoposto migliore, la Williams; una vettura che negli ultimi due anni aveva permesso di vincere il titolo prima a Mansell e poi al suo arcinemico Prost, l’uomo delle mille battaglie sin da quel lontano 1984 a Montecarlo, sotto il diluvio, la gara in cui tutto il mondo si accorse del giovane talento sudamericano che guidava sul bagnato come fosse sull’asciutto. Insomma, Imola doveva essere il vero inizio del campionato per Senna. Da lì sarebbe ripartita la sua rincorsa al titolo o il distacco nei confronti di Schumacher, in termini di punti e forse anche di morale, sarebbe potuto diventare troppo ampio per essere colmato. Poi, prima il botto di Barrichello, suo amico e connazionale (l’unico pilota al quale, in prova, concedeva di poterlo seguire per un paio di giri in modo da permettergli di imitare le sue linee) quindi la morte di Raztenberger, lo avevano turbato. Forse anche più di quanto lui stesso si sarebbe aspettato. In entrambe le occasioni si era recato sul luogo degli incidenti per valutare se fosse possibile, già a partire dalle future gare, migliorare la sicurezza dei circuiti e delle autovetture stesse, divenute quell’anno, dopo l’eliminazione delle sospensioni attive, davvero inguidabili. E che dire delle piste? Muretti, cordoli troppo alti, protezioni insufficienti e vie di fuga troppo brevi… No non si poteva andare avanti così. Era stata solo fortuna se erano passati dodici anni dalla morte di un pilota in un gran premio. L’impatto con la realtà fu perciò durissimo per tutti i piloti e Senna, indiscusso leader carismatico del gruppo, mise in programma, una volta terminato quel fine settimana di corsa, di incontrarsi con dirigenti della federazione ed ex piloti per valutare le azioni da intraprendere. Per buona parte di quel pomeriggio del 30 aprile non fu neanche così sicuro di correre l’indomani. Poi col passare delle ore si convinse.

Ma Dio non aveva ancora smesso con i suoi capricci, purtroppo. E questa volta, vittima delle sue bizze, fu proprio Ayrton, l’uomo venerato come una divinità; il pilota che aveva addirittura affermato di aver corso con il Signore accanto. La Formula Uno senza dubbio cambiò quel fine settimana. Ma non fu la morte del semisconosciuto austriaco a determinare la svolta e Senna, che ne fu l’artefice inconsapevole, non vide mai i risultati.

InSuite 200 Terruzzi immagina le ultime ore di vita di Ayrton, mentre nella sua camera d’albergo, la suite 200 dell’Hotel Castello, a Imola, aspetta il sonno. Avrà pensato alla sua infanzia? Alla sua ragazza? Ai suoi rivali di tutta una vita? Alla morte di Ratzenberger? Non lo sappiamo. Forse a tutto questo, come suppone Terruzzi, il quale, prima di scrivere, ha parlato con molte persone vicine al brasiliano ottenendo conferme e conforti; o forse, come ammette onestamente lo stesso giornalista, a nulla di tutto ciò, essendo il suo un arbitrio. Fatto sta che se di arbitrio si tratta siamo di fronte a una bellissima favola. Anche se il lieto fine, stavolta, non c’è stato.


(Giorgio Terruzzi, Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna, 66thand2nd, 2014, pp. 246, euro 15)