“Bosnia Express” di Luca Leone
di Sara Gvero / 8 dicembre 2010
Quando esisteva ancora la Jugoslavia, l'Espresso 451 impiegava sei ore a collegare Belgrado a Sarajevo.
Allora si chiamava Olympic Express, e poteva vantare centinaia di passeggeri, comodi sedili, hostess in ognuno dei molti vagoni.
Nel 1992 il treno fu interrotto, e ha ripreso servizio solo nel dicembre dello scorso anno: adesso che la Jugoslavia non esiste più, ci vogliono più di otto ore per trascinare le tre carrozze da una capitale all'altra, e il vagone ristorante resta l'unico tratto in comune col treno d'un tempo, ex vanto nazionale e simbolo a motore dell'unità degli slavi del sud.
L'espresso rappresentò negli anni '70 e '80 la fratellanza delle sei repubbliche federate jugoslave e delle loro etnie e religioni, una fratellanza oggi rimpianta tanto quanto rinnegata, senza forse essere mai stata del tutto (o da tutti) condivisa.
L'ultima pubblicazione di Luca Leone, Bosnia Express, segue il percorso bosniaco dell'Espresso 451, strutturandosi in undici fermate: tappe geografiche, concettuali ed emotive che approfondiscono aspetti diversi dell'attualità bosniaca.
La Bosnia Erzegovina è un paese ibrido (con una popolazione composta da musulmani bosniaci, serbi, croati, rom, ebrei, una minoranza triestina e altro ancora), i cui abitanti prima della guerra solevano spesso autodefinirsi jugoslavi se interrogati sulla loro appartenenza etnica (non pochi del resto erano figli di unioni miste). Adesso si insiste invece nel tirare le fila di un nazionalismo anacronistico e improduttivo, utile però a ottener voti, favori, guadagni.
Ci sono voluti diciassette anni perché l'Espresso 451 ripartisse, sedici perché fosse iniziata la ristrutturazione della biblioteca universitaria di Sarajevo. Gli edifici religiosi, invece, sono stati ricostruiti (e si sono moltiplicati) alla velocità della luce, grazie ai finanziamenti di "benefattori" esteri interessati a trarre vantaggio dall'ottusità nazionalistica appropriatasi della fede.
I fondi internazionali arrivati per le ricostruzioni sono scomparsi nelle tasche di politici corrotti con stipendi da 2.500 euro al mese, a fronte dei 300 medi di un normale lavoratore, e di un tasso di disoccupazione molto alto soprattutto tra laureati e tecnici specializzati.
I settori produttivi più importanti sono nelle mani di proprietari stranieri, mentre le risorse preziose di un paese naturalmente ricco vengono svendute all’estero e successivamente reimportate sotto forma di prodotti finiti a prezzi proibitivi per i bosniaci.
Un' assoluta non valorizzazione dei luoghi d'interesse impedisce un vero avvio del turismo, che pure si alimenta durante le festività del ritorno degli espatriati e poi, del turismo religioso in direzione Medugorije.
Leone parla di questo e di criminalità organizzata, di export d'armi e truppe in Afghanistan, di una lingua unica che le varie parti si ostinano a chiamare con nomi diversi e dell'impunità vergognosa dei responsabili di almeno 25.000 stupri di matrice etnica.
Oltre l'orrore e la tristezza racconta però anche la testarda urbanità della cittadinanza sarajevese che neanche sotto i bombardamenti rinunciava al teatro, e testimonia il rinascere di un fermento culturale che pur nella scarsità di finanziamenti e luoghi d'espressione sembra aprire una nuova via alla speranza.
Nel fare questo il giornalista riesce a donare una qualità intima alle pagine, rese intense dalle descrizioni dei luoghi e delle sensazioni ad essi legate, dalle citazioni delle persone che ha incontrato lungo le tappe del suo viaggio e che gli hanno mostrato che la vera risorsa della Bosnia Erzegovina è il suo eterogeneo popolo.
Bosnia Express è un testo d'attualità scritto con lucidità e trasporto, con la partecipazione di chi ha imparato a conoscere e amare una terra e la sua gente, nonostante le loro amarezze, o forse proprio per queste.
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