“La manomissione delle parole” di Gianrico Carofiglio
di Giulia Cirenei / 9 marzo 2011
Questo libro, dice l’autore, finirà sullo scaffale dei saggi; anche se un saggio non è, anche se è «un gioco di sconfinamenti», «un’antologia anarchica».
E del resto, che sia saggio, gioco o antologia, importa poco. Quello che importa, in effetti, è che ci sia, sugli scaffali, perchè questo libro è un un libro urgente. Non solo, ma anche, perchè è un libro di divulgazione, nel senso migliore del termine, un libro cioè che fa venire voglia, ancora prima di chiuderlo, di aprirne altri, di libri. Che fa venire voglia di approfondire e di discutere.
È urgente, libro o gioco, perchè parla delle parole. Della loro importanza, ma anche della loro precarietà. «Le parole sono importanti», lo diceva anche Nanni Moretti; e lo sono davvero, perchè sono il solo strumento del pensiero e dunque di tutto quello che ne deriva – la comunicazione, l’azione, la politica. «I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo», ha scritto Wittgenstein. Di fronte, ha quello zelante impiegato che nel regno totalitario e totalizzante di Oceania, nel paranoico 1984 descritto da Orwell, per lavoro riduce il numero delle parole. «Poche parole, poche idee». Fino a che disobbedire, prospettare un’alternativa, anche solo discutere, non è più proibito, ma impossibile. Meglio, «inconcepibile».
Di qui, e di moltissime altre testimonianze, da Gramsci a Primo Levi, da Zagrebelsky e John Rawls, discendono le riflessioni sull’urgenze di curare le parole, di fuggire la sciatteria e la banalità. Perché sono i primi passi verso l’indifferenza, verso l’ignavia di coloro che «mai non fur vivi». E non lo furono perchè avevano rinunciato alla facoltà, propriamente umana, di scegliere. E allora, «già solo chiamare le cose con il loro nome è un atto rivoluzionario».
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