Canzoni di sangue
di Elena Romanello / 1 aprile 2011
Porta il nome di una famiglia che si è intrecciata con la storia contemporanea di uno dei Paesi più martoriati e nello stesso tempo in una delle posizioni più strategiche sulla Terra, il Pakistan: Fatima Bhutto, nipote di Benazir, la prima donna capo di Stato in un Paese islamico, racconta in Canzoni di sangue, appena uscito in italiano, le vicende personali, private e pubbliche della sua vita e di quella dei suoi congiunti, oggi quasi tutti morti tragicamente, in una storia di sangue che riecheggia i drammi shakesperiani ma anche le famiglie dell'antichità classica e del Rinascimento italiano, i Borgia in testa.
Il libro, incentrato sulla figura del padre di Fatima, Murtaza, assassinato con l'intervento nemmeno tanto velato del marito di zia Benazir, Asif Zarfari, attuale presidente del Pakistan, ricostruisce una storia che è iniziata decenni fa, ancora prima che il Pakistan diventasse una nazione indipendente dall'India, quando i Bhutto, famiglia di guerrieri e possidenti terrieri, iniziò ad occuparsi anche di politica interna. La linea di sangue è cominciata con il nonno di Fatima, Zulfiqar Ali, deposto e assassinato dal generale Zia, ed è proseguita con le vicende di Murtaza, ma anche di Benazir Bhutto e dell'altro zio di Fatima, Shahnawaz, morti assassinati, la prima in un attentato, il secondo avvelenato in Francia dove risiedeva in circostanze misteriose.
Fatima racconta aneddoti della sua infanzia e adolescenza, compreso il giorno tragico della morte del padre, ma ricorda anche la gioventù di Murtaza, idealista che studiò negli Stati Uniti e sognava la rivoluzione proletaria come molti altri ragazzi della sua generazione, che ebbe Fatima da un matrimonio lampo subito finito (ma dopo anni la madre naturale tornò a contattare la figlia, venendone poi respinta definitivamente), per poi sposarsi con la donna che Fatima considera ancora oggi sua madre, da cui Murtaza ha avuto il figlio secondogenito Shahnawaz al quale Fatima è legatissima.
Emerge dalle pagine l'epopea di sangue di un paese ancora molto giovane, stretto tra Occidente e Oriente, in una posizione fondamentale tra le ex repubbliche sovietiche, l'Afghanistan, l'Iran, la Cina e l'India, dominato dal fondamentalismo islamico, ma anche dalla corruzione, dai giochi di potere, dai complotti, dalle faide, dall'intolleranza. Con questo Paese si è intrecciata la storia dei Bhutto, e Fatima si schiera dalla parte di suo padre Murtaza, dedicando a lui il libro come una sorta di lettera d'amore: non è dato sapere oggi se lei, poetessa, scrittrice e giornalista, che fece mormorare qualche tempo fa i rotocalchi per una presunta storia con George Clooney, potrebbe decidere di occuparsi del suo Paese dal punto di vista politico, ma è comunque interessante leggere questa sua toccante testimonianza.
Anche perché terre come il Pakistan continuano ad avere un ruolo fondamentale negli equilibri mondiali, ruolo indubbiamente influenzato dalla propria travagliata e tragica situazione interna. E cercare di informarsi sulle singole culture di quello che viene in Occidente liquidato, in generale, come “mondo islamico”, e ascoltare in particolare le voci delle donne, non tutte riducibili a entità avvolte da burqa e chador, può essere uno dei mezzi privilegiati per capire il presente e gli scenari possibili del futuro di paesi nei quali le cose sembrano dover cambiare sotto la spinta di fermenti rivoluzionari.
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