Vita privata di una sconosciuta

di / 21 giugno 2011

 

A leggere le quarte di copertina spesso riportanti i pareri entusiasti di critici autorevoli o le famose fascette (che personalmente tolgo immediatamente) con su scritti record di copie vendute in poco tempo, la stagione letteraria appena trascorsa sembrerebbe essere stata miracolata da una serie di felici e straordinari esordi, salutati con sonori squilli di tromba e spinti ancor di più da passaparola e booktrailer in rete.

Si parlava di debutto memorabile, quanto atteso, quando a febbraio di quest’anno usciva contemporaneamente in tutto il mondo e in Italia edito da Garzanti Vita privata di una sconosciuta, di Elena Mauli Shapiro (Garzanti 2011, pp. 260, Euro 16,60). L’attenzione internazionale suscitata da questo romanzo è ampiamente testimoniata dalla cronistoria del libro riportata nella bandella, dalla genesi con la Shapiro bambina che negli anni ’80 trova una scatola piena di oggetti e ricordi di una sconosciuta vicina, passando attraverso le lotte fra case editrici per accaparrarsi i diritti, fino alla pubblicazione. Le eccessive aspettative però a volte alimentano speranze che poi rimangono deluse, come il giorno di festa leopardiano dopo il trepidante sabato.

Trevor Stratton, protagonista e voce narrante del romanzo, è un professore americano che va a Parigi per svolgere delle ricerche inerenti i suoi studi. Nell’ufficio a lui destinato, situato al numero 13 di Rue Thérèse e presieduto da una affascinante quanto misteriosa segretaria francese, Josianne, dai «capelli lisci e rosso fuoco, gli occhi nocciola che stranamente cambiavano colore con la luce e avevano un che di pericoloso, come un debole crepitio elettrico», scopre, non si sa quanto casualmente, nel fondo di un cassetto una scatola quadrata con un coperchio di plastica bianca e strisce rosse: «La scatola non è nulla di straordinario, anche se pare che il contenuto faccia venire la febbre». Da improvvisato detective, lo studioso si ritrova a ricostruire l’esistenza di una sconosciuta a partire da oggetti di poco valore e insignificanti per un estraneo, ma che sono altrettanti frammenti di vita, documentati anche attraverso le immagini: fotografie sbiadite, lettere, cartoline, souvenir, note e due paia di femminili guanti a rete di pizzo. La proprietaria della scatola si chiamava Louise Brunet, vissuta a Parigi tra prima e seconda guerra mondiale. Restituendo piano piano un’identità e un’anima ai reperti trovati, Trevor ne verrà a tal punto coinvolto da provocare in lui uno strano malessere che, in un cortocircuito fra presente e passato, lo porterà ad entrare nella vita di Luoise, anche fisicamente e ad avere un incontro straniante e sovratemporale con lei. Rivivrà così il suo amore giovanile e impossibile per il cugino Camille, l’atroce morte in guerra di quest’ultimo, la precoce scomparsa del fratello, il suo noioso matrimonio («Il suo è matrimonio misurato e razionale con un uomo misurato e razionale»), il morboso rapporto con il padre e l’allieva di pianoforte Garance e infine la passione peccaminosa per un nuovo vicino di casa trasferitosi nel suo palazzo nel lontano, ma presente, novembre 1928.

Amore, peccato, ossessione ed erotismo sono gli ingredienti presenti nel libro. La Louise uscita dalla penna dell’autrice è una donna sorprendentemente evoluta per il proprio tempo, «tormentata dalla fame della carne», tanto sfrontata e disinibita sessualmente da sembrare inverosimile anche per una donna dei nostri giorni, irriverente e irridente verso la religione. Sposata non per amore, senza figli, ma ossessionata dall’averne uno, ha comunque rispetto e tenerezza verso il marito. Altrettanto ambigua nelle sue fugaci apparizioni è il personaggio della segretaria francese. Per il resto, Trevor Stratton traccia una storia semplice, al limite del banale e dal finale poco coinvolgente che lascia la stessa sensazione di quando ci si alza da tavola non completamente sazi.

Ma le opinioni sono opinioni e si sa, come dicevano i latini: De gustibus non disputandum est.

  

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