Venezia è un pesce
di Angelo Gasparini / 2 ottobre 2011
Quando parliamo di Venezia, solitamente iniziamo a fare una serie di associazioni mentali legate allo spettacolo storico-artistico, urbanistico e geografico che offre il capoluogo veneto. Nessuna città ha subito più tentativi di emulazione tutti naufragati sulla spiaggia delle buone intenzioni, nessun’altra ha ispirato più artisti, poeti e scrittori. A un tale esempio di unicità, non poteva non corrispondere una guida sui generis, in piena sintonia con lo spettacolo offerto dalla laguna. A firmarla, naturalmente, è stato un veneziano doc, Tiziano Scarpa. Lo scrittore, attraverso una serie di aneddoti divertenti, conditi da uno stile scorrevole e accattivante, ci conduce alla scoperta di una città fatta di luoghi ufficiali e storielle ufficiose, a metà fra l’autobiografia e il resoconto di viaggio alla vecchia maniera. Pubblicato per la prima volta nel 1998 da Paravia, con il titolo In gita a Venezia con Tiziano Scarpa, il libro è stato ripubblicato due anni più tardi in edizione Feltrinelli, riveduto e ampliato. Venezia è un pesce è, per lo più, una guida letteraria, come si usava un tempo, in cui l’autore oltre a suggerire degli itinerari un po’ particolari, consiglia e spiega al lettore una serie di esercizi per vivere Venezia a pieno. L’originalità di questi esercizi consiste nel mostrare al lettore una città non solo affabulante ma da vivere con pienezza barcollando nel reale, cercando con gli occhi di un veneziano e non con l’affanno del girovagare molle e casuale tipico del turista. L’autore di Stabat mater, fornisce un glossario essenziale che il viaggiatore deve apprendere per districarsi e saper leggere la città lagunare. Se a Roma c’è il Ponte Milvio, a Venezia troverete il Ponte delle Gomme. Il bello di una sì fatta guida sta nell’invito, di Tiziano Scarpa ai lettori, di vivere la città in tutti i sensi, dove in tutti i sensi non è solo un modo di dire. Il libro, non a caso, è suddiviso in una serie di capitoli intitolati: Piedi, Occhi, Cuore, Orecchie, Bocca, Naso eccetera. Ognuno di essi corrisponde a una serie di sensazioni legate ai campi semantici degli occhi, del naso, delle gambe eccetera in relazione alla città lagunare. Non solo, però, perché allo stesso tempo si riferisce pure alla coda, agli occhi, al naso di un grosso pesce giacente nella laguna e chiamato Venezia. Guardata dall’alto o sulla cartina, infatti, la città ha la forma di un grosso pesce adagiato nell’Adriatico. Scarpa ci conduce passo a passo nella scoperta di una grande storia fatta di tante piccole storia, ci intrattiene amabilmente con il suo umorismo garbato e intelligente, a tratti saporoso. Alla fine del libro, passando fra calli, campielli, fondamenta e salizzade, il lettore avrà l’impressione di conoscere meglio quell’affresco a cielo aperto che fin lì aveva solamente visitato sognando ad occhi aperti. Tuttavia, benché la gita sia piacevole, è comunque rischiosissima. Chi si immette nelle rughe o calli dei sestrieri veneziani (si chiamano così perché i quartieri storici sono sei), si sottopone inevitabilmente alla pulchroattività, vale a dire la radioattività emanata da troppa bellezza cui i veneziani, più sfortunati dei turisti, sono incessantemente sottoposti: «Proteggetevi con degli occhiali molto scuri», avverte l’autore. Sembra sia l’unico modo di uscirne indenni. Una specie di sindrome di Stendhal lagunare che dovrebbe affliggere i malcapitati visitatori. La ragione storica per cui i veneziani si chiamano serenissimi, secondo Scarpa, sarebbe da attribuire alla dose massiccia di pulchroattività che quotidianamente li stordisce. In questo modo, sempre frastornati, vivrebbero la sempiterna serenità e staticità della laguna. Ironicamente, lo scrittore insinua che la nascita delle maschere, insigne tradizione veneziana, è da attribuire alla poca privacy che si riscontra nella città veneta, dove si vive spalla a spalla e dove per poter essere se stessi bisognava essere qualcun altro, ecco la maschera. Il Carnevale a Venezia, anticamente era il tempo in cui si infrangeva ogni regola e lo si faceva per consacrarne l’esistenza, per riconoscerla pubblicamente. Il libro si conclude con una breve bibliografia relativa ai vari capitoli e con tre racconti atti a testimoniare i tre modi “standard” di vivere a Venezia: da turista, da veneziano, da persona trasferitasi nella città. Il turista del primo racconto è un certo Guy de Maupassant, estasiato dalle mille bellezze della città adriatica. Il racconto, un pezzo tratto dal giornale francese Gil Blas del 15 maggio 1885, è stato tradotto direttamente da Tiziano Scarpa, probabilmente per la prima volta in Italia. Protagonista e autore del secondo racconto è lo stesso Scarpa, che ci mostra, con l’escamotage del Ponte delle Gomme, la città vissuta e vista da un veneziano. L’ultimo pezzo è, invece, dello scrittore Diogo Mainardi, trasferitosi a Venezia poiché innamoratosi della città e irrimediabilmente imprigionato dalla staticità della laguna.
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