“Mondoviaterra” di Eddy Cattaneo
di Dario De Cristofaro / 5 ottobre 2011
Sarà che il mondo te lo vedi scorrere tutti i giorni davanti agli occhi, tra televisione e internet, ma in fondo non lo tocchi mai veramente con mano. Sarà che ne hai abbastanza di persone che ti tartassano raccontandoti dei loro vuoti viaggi organizzati del cavolo. Sarà che l’idea di fare il giro del mondo, a piedi o con mezzi di fortuna, è una cosa che hai dentro fin da bambino, con cui ci nasci e da cui non puoi prescindere. Chiedetelo pure a Eddy Cattaneo se non è così, leggete il suo Mondoviaterra (Feltrinelli, 2011) e capirete che il mondo vero è lì che vi aspetta, basta scegliere un luogo da cui partire. Rigorosamente via terra o via mare.
«Non ho mai saputo disegnare… Passavo ore a colorare bandiere… Gironzolavo con in mano un atlante dalla copertina blu, lo divoravo. Sfogliavo per ore le cartine, i rettangolini delle legende, adoravo quei costumi di Arlecchino che sono le mappe politiche e la semplicità delle fisiche, con i marroni e col celeste che sfumava in un fosco blu scuro…».
Nasce, dunque, dalla passione di un bambino «… che vuole entrare nelle fotografie di un atlante» questo lungo giro del mondo: non in 80 giorni, come accade ai protagonisti del celebre libro di Jules Verne, bensì in 467, dopo aver percorso la bellezza di 108.000 Km, «senza mai bucare il cielo».
Partito da Ciserano (Bg) il 15 settembre del 2008, direzione Padova e da lì verso Riga, in Lettonia, con il pullman «delle colf, quello che le riporta alle loro case nei paesi dell’Est», Cattaneo attraversa l’Asia come gli antichi viaggiatori, passando per Cina, India e Pakistan, fino a giungere in Corea del Sud, da dove, imbarcatosi su un cargo, raggiunge Panama e quindi l’America latina. Da lì, dopo ben otto mesi trascorsi su e giù per il continente americano, l’autore si imbarca nuovamente, questa volta direzione Marocco, Africa. Il viaggio terminerà la notte di Natale del 2009, quando Cattaneo farà ritorno alla Casa del mulino, di nuovo a Ciserano, dopo chili e chilometri bruciati, incontri d’altri tempi e un principio di malaria preso in tempo.
Libero da velleità letterarie, l’autore racconta la sua viva esperienza attraverso un modo di scrivere semplice e scorrevole. E sta proprio in questo la sua bravura, nel riuscire, cioè, a raccontare al lettore ciò che ha visto con i propri occhi, con semplicità, senza mai annoiare, e facendosi testimone di luoghi ed esperienze non comuni, alternando sapientemente ironia e serietà, episodi di tipica spavalderia italica ad analisi acute sui modi e i costumi incontrati lungo il cammino.
Alla fine, quello che resta del viaggio è la consapevolezza di aver dato ascolto alla propria voce interiore, di non aver tradito il bambino per l’uomo. Ed è quanto basta per ricominciare da capo: «Cosa ne sarà di me non lo so, il futuro completamente aperto e sconosciuto. In più solo una certezza e mi basta. Ho realizzato il sogno di un bambino. Ho fatto il giro del mondo senza prendere aerei. L’ho fatto davvero. Il mio mondo via terra. Il primo».
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