Andiamo a vedere la musica

Così, la mamma, alla figlietta. Testuale: vedere, non sentire. Spettatori a casa, spettatori in ufficio, spettatori anche alla Fattoria Didattica (http://www.iltrattore.it). La bimba se la tiene in braccio e non la molla mai, mentre altri bimbi scorrazzano, gai sudati e lerci (alleluia!), pei prati campi e le staccionate di un’area pensata soprattutto per loro. Liberi, sciamano a branchi coerenti per età (la tolleranza naturale nelle orde spontanee d’infanti è, l’ho capito,  +/- 2 anni). Sciamano come i loro genitori, finalmente liberi dall’assillo “Attento alla macchina!” e ammantati dal privilegio, sempre più raro, della genitorialità condivisa. Io a una ansio-mamma: “E lassalo sta’ ‘n pace, ma ‘ndo voi che va?!”. E difatti: sgambetta, abbraccia l’altalena, si dondola –  al contrario: vabbè, sempre due anni ha! –  poi si rompe e torna da me, che gli ho insegnato a molestare i clienti della bottega tirando loro addosso, dopo aver caricato in pompa magna et rumorosa, le tendine-torciglione lilla-psichedelico della “porta” d’accesso. Io fendo a palmi tesi, prima congiunti poi aperti, lui frusta con metodo: la perfetta coppia di maschi cretini.

Quella, invece, è labimbainbraccio. Vestita proprio come te la immagini: di rosa e bianco, scarpette da ginnastica (decorative, con la chiusura a strappi), ciuccetti su capoccetta bionda. Fa caldo, ma lei ha su il suo bel giubbino. E sta in braccio alla mamma. Sempre. Chissà dov’è il papà, mentre la mamma la porta  a vedere tutto e le impedisce di partecipare a qualsiasi cosa. Vede le oche, le rape, la lattuga, il bue l’asinello (Gesù no, che non è frutto di stagione); vede pure gli altri bambini, perché non ci gioca. E come potrebbe, sempre in braccio a mammà?!

Io lo trovo straziante, che a venti metri venti stia andando in scena (stavolta sono spettatore io…) la sanità: sette scalmanati (di cui tre femminucce) si precipitano con mezzi di fortuna in gara slealissima (mai viste così tante infamità in una sola discesa) su mezzi di fortuna ruotati verso un traguardo che non porta ad altro premio che non l’adrenalina, l’ardimento e il gusto di sfidare sorte e morte (possibile: scendono veloci e senza caschetti). Non so se è più bella la tenacia con la quale il maschietto più grande punta, riuscendo a finirci dentro e cappottarsi, lo sgarupo  che corre parallelo alla lingua d’asfalto (e ne esce estasiato: altro che PS3!) o la follia sul viso di un papà che incita tutti  a correre, correre!, a salire più su, più su!; ad accucciarsi, a prendere maggiore velocità. E pensa, si vede, si sente, lo sento io che l’ho provato e pure indotto, questo sentire: “Fanculo tutti e tutto! Divertitevi, voi che potete, voi che sapete ancora farlo! E godetene fino a svenirne!”. No, ho deciso: è più bello lo sguardo misto compiaciuto-eccitato della giovane donna (sarà sua moglie?!) che se lo guarda, vivo, e parimenti mangia con gli occhi. Chissà da quanto non lo vedeva, un maschio che se ne fotte. E non a caso il verbo è lo stesso.

Venti metri, tra sanità e mortorio. Tra graffi e sudore da un lato (puzzecchiano, i piloti, ma è tanfo angelico) e piumino/manine intonsi dall’altro. Tra realtà e tv. Tra vita e consumo della vita. Li capisco, i genitori: ci ho messo un po’ anche io a rilassarmi, alla Fattoria. A realizzare che se sono a disagio perché non ho un ruolo, due (accertato che sì, in effetti è follia pura…) sono le cose: o me lo trovo, un ruolo, o me ne vado. Ci ha pensato il fattore, a disambiguare: “Che me tieni bottega, che c’ho da fa’?!”. Provvidenziale (sic). Li capisco i genitori, il loro disagio. Meno comprendo che usino i figli come totem. Come copertina di Linus. Te la tieni sempre attaccata, tua figlia (ma il papà dov’è?!), e ti proteggi tu dalla tua incapacità di giocarti. Di trovarti un ruolo. Di essere parte di una cosa che non conosci né capisci più, rintronata come sei (“Andiamo a vedere la musica”) dalla tv: la socialità tra persone nuove in una situazione nuova.   

Sì, Vostro Onore, lo ammetto, l’ho rapita io la bimba. E sempre io l’ho riportata alla mamma (il papà/non si sa).

Ma lercia, l’ho riportata. E felice.