Bevete cacao Van Houten!
di Silvia De Santis / 6 ottobre 2011
Se qualcuno avesse ancora dubbi circa la professionalità degli scrittori migranti e sul valore dei loro testi, questo è il libro che fa per lui. Il titolo scelto da Ornela Vorpsi rimanda a un episodio che ben si presta a suggerire il suo sguardo sul mondo. Majakovskij racconta in una poesia di come a inizio '900 la ditta di cacao Van Houten decise di farsi pubblicità comprando l'ultimo desiderio di un condannato a morte, il quale gridò "Bevete cacao Van Houten!" sul patibolo in cambio di un'importante somma di denaro versata alla sua famiglia.
Al di là del senso di macabro e di follia che questa spiegazione lascia, l'autrice vuole in realtà introdurci nel suo universo e nell'atmosfera in cui sono immersi i suoi racconti, ambientati tra l'Albania, l'Italia e la Francia. Le domande che fanno da sfondo e uniscono luoghi e personaggi tanto lontani sembrano essere: qual è il prezzo dei nostri sogni? Hanno un peso specifico, possono forse essere valutati, classificati, valgono una vita? È così che i toni di critica politica e sociale dei primi lavori della Vorpsi lasciano spazio alla dimensione più intima e introspettiva dell'umano, probabilmente più congeniale al suo stile di scrittura frammentario quanto fantasioso, in equilibrio tra prosa e poesia.
In un paese immobile e maschilista come l'Albania (che a ben guardare non è poi così diverso dalle nostre società), desiderare sembra essere l'unica cosa che ti mantiene in vita. Ti dà colore e ti riscalda, ti permette di non vedere la desolazione intorno a te per trascinarti in un altrove che magari non esiste, ma che ha tutto il fascino di un'illusione creata su misura per noi. Questo dissociarsi dalla realtà porta inevitabilmente i protagonisti a vivere nella solitudine, in un'emarginazione, voluta o meno, che esaspera i sentimenti, illuminando con bagliori di luce il deserto circostante. Il desiderio diventa il motore che ci spinge all'azione o all'inerzia, scandisce il tempo, noi stessi acquistiamo rilevanza in funzione della sua energia e pervasività e tutto questo ci permette non solo di sopravvivere ma quasi di vivere.
Però i sogni, come dicevamo, hanno un prezzo e se siamo troppo impetuosi nell'andargli incontro, qualche forza misteriosa ci chiederà prima o poi di pagare. Allora può capitare di imbarcarsi per l'Italia dopo una vita passata a sognarla ma svanire nel nulla durante il viaggio; oppure di essere portati via in un baleno da un onda quando ci aspetta un futuro d'amore, di arrivare finalmente a Roma e scoprire che l'indirizzo dell'uomo italiano che prometteva ospitalità e una nuova vita non esiste. Di raggiungere l'Occidente e accorgersi che la bellezza può essere una maledizione anche qui.
È curioso come un romanzo così onirico e sfuggente abbia preso forma in italiano, da un'autrice albanese, francese d'adozione, che in Italia ha passato solo cinque anni. Fa sempre piacere riscoprire la versatilità, l'infinito fascino della nostra lingua, ancor di più se questo avviene grazie a scrittori stranieri che non hanno saputo resistergli.
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