Amélie Nothomb tra realismo ed esistenzialismo
di Angelo Gasparini / 11 ottobre 2011
Amélie Nothomb è tra quelle scrittrici che dividono nettamente critici e lettori. I suoi libri sono caratterizzati da una scrittura lucida e – allo stesso tempo – allucinante, da storie singolari da personaggi atipici che – per lo più – riflettono una realtà frenetica, a mezza via tra alienazione globalizzata e spinta all’introspezione. Questo è alla base di alcune personalità disturbate, o quantomeno atipiche, di individui problematici e sempre sull’orlo della crisi.
Se Moravia con l’Automa denunciava l’estraniamento e l’alienazione dell’uomo occidentale e se Pirandello con Uno, nessuno, centomila, metteva in luce la crisi d’identità e l’affanno ad affermare la propria personalità nel mondo attuale, con Amélie Nothomb la direzione è tutt’altra, poiché, al centro della sua opera, assistiamo alle difficoltà dell’uomo contemporaneo eternamente dibattuto tra lo stare al passo con i tempi e il tentativo di mantenere intatta la propria identità di partenza.
L’altro piano sul quale si snodano le vicende narrate dall’autrice belga è sicuramente quello della realtà, una realtà nitidamente penetrata dal raziocinio, profondamente deformata dalla sfera del sé e della coscienza. Si tratta di contesti fortemente caratterizzati, esattamente come i suoi protagonisti, e che ti arrivano in faccia senza preavviso, nel fluire della narrazione e nel flusso di coscienza dei vari personaggi. Uno degli spaccati di realtà più forti, firmato dalla penna di Amélie Nothomb, è quello contenuto nelle pagine di Stupore e tremori, ambientato in Giappone. Assunta dalla Yamamoto, a inizio anni novanta, l’autrice scopre, di giorno in giorno, la rigidità del sistema lavorativo giapponese, un sistema fortemente gerarchizzato, immobile e secolarizzato. Sullo sfondo del romanzo, naturalmente, il paese del Sol Levante in cui la corsa sfrenata alla modernità e l’incontrovertibile conservatorismo vanno di pari passo. Pagina dopo pagina, la narratrice ci presenta una realtà discriminante verso gli europei e verso la donna dove tentare di snellire il lavoro oltrepassando la burocrazia è visto come un segno irrispettoso e sfrontato verso la piramide sociale, tendenzialmente immobile e cristallizzata.Amélie ci racconta di tutte le peripezie che ha dovuto affrontare lavorando presso una grande azienda, degli scacchi subiti in un sistema fortemente chiuso e dispotico. Il tono della narrazione è satirico, fra l’ironia e l’angoscia.
Nel romanzo Libri da ardere si assiste, invece, a uno scenario assolutamente esistenzialista, lo schema ricorda molto quello di A porte chiuse, la celebre opera di Jean Paul Sartre. Innanzi tutto perché in entrambi i casi la vicenda si svolge in un luogo chiuso, secondariamente perché sono due testi teatrali e, dulcis in fundo, perché in entrambi i libri i protagonisti del dramma sono tre: Daniel, il Professore e Marina in quello di Amélie Nothomb e Garcin, Inès ed Estelle nell’opera del Premio Nobel francese. I personaggi, infine, in entrambi i libri si mostrano di una lucida spietatezza gli uni nei confronti degli altri; come dire “l’Inferno sono gli altri …”. Daniel (assistente universitario), Marina (la sua fidanzata) e il maturo professore universitario si trovano nella casa di quest’ultimo. Sullo sfondo c’è la guerra, i bombardamenti sempre in agguato. È inverno e il combustibile per riscaldare la stufa è finito. Fa sempre più freddo e Marina, studentessa iscritta all’ultimo anno, propone di usare i libri come combustibile (il titolo originale è, infatti, Les combustibles). La proposta che, all’inizio, viene accolta con orrore, viene in seguito appoggiata anche dal fidanzato Daniel e dal professore. Prima di essere dati alle fiamme i libri, che portano spesso nomi stravaganti, vengono sempre esaminati per il loro valore letterario. I libri, quindi, vengono bruciati in ordine decrescente per valore storico-letterario. L’ultimo libro ad essere immolato sarà, senz’altro il più prezioso… In questo scenario di precarietà, in cui la morte sembra sempre alla porta, la meschinità e l’istinto di sopravvivenza la fanno da padroni. Leggendo tra le righe cogliamo, in ultima analisi, anche alcuni elementi autobiografici: la magrezza/anoressia di Marina si riferiscono al periodo adolescenziale della scrittrice così come il freddo patito sui banchi di scuola, il riscaldarsi nella biblioteca della facoltà e una certa intolleranza alla lettura sono da collegarsi all’ultimo periodo universitario della scrittrice belga, per ammissione della stessa.
Fra realismo ed esistenzialismo, autentica summa delle dicotomie di Amélie Nothomb è il romanzo Il viaggio d’inverno. La prima scena del libro è costituita da Zoïle che, seduto all’aeroporto( dove è arrivato con quattro ore d’anticipo), scrive la propria storia a penna su un quaderno. Il tempo della narrazione corrisponde al tempo impiegato dall’uomo per redigere la storia, mentre aspetta di salire sull’aereo che intende dirottare sulla Tour Eiffel. I protagonisti sono tre personaggi molto caratteristici, di un realismo palpabile ma anche un po’ borderline. Si tratta di Zoïle, impiegato presso una compagnia francese che si occupa di gas ed energia, Aliénor, una brillante scrittrice portatrice di handicap e Astrolabe, la sua bella e fedelissima amica. Astrolabe è una donna brillante e affascinante. L’uomo, che doveva fare un sopraluogo a casa della scrittrice, parlando con Astrolabe crede subito di trovarsi di fronte all’autrice. Scoprirà, con grande sorpresa, che è solo la segretaria personale, l’amica fedele, colei che trasforma in pagina scritta le intuizioni letterarie di Aliénor. Innamoratosi di Astrolabe, Zoïle inizia a farle una corte serrata, si mostra sempre galante e attento, è sempre presente nella vita delle due donne. Anche Astrolabe lo ricambia, ma il voto di abnegazione fatto a se stessa nei confronti dell’amica la frena rendendo impossibile il realizzarsi di questa passione. In seguito all’ennesimo scacco, l’uomo tenta il tutto per tutto facendo mangiare dei funghi allucinogeni all’amata con l’intento di sedurla, ma anche questo estremo tentativo è destinato a naufragare… Sempre più disperato, l’uomo chiede ad Astrolabe quale sia il monumento parigino più bello e, in seguito alla risposta, decide di dirottare un aereo sulla Tour Eifel, un’enorme “A” di ferro che campeggia sullo sfondo di Parigi. La “a” di Amélie, che era il nome della donna di cui era innamorato Gustav Eiffel e che, curiosamente, è anche il nome di battesimo dell’autrice di questo romanzo; ma anche la “a” di Astrolabe, di Aliénor di amore, vale a dire quella vocale cui Arthur Rimbaud attribuiva il colore nero.
Il viaggio in inverno è la cronaca di un amore sofferto tra Zoïle, impiegato della società elettrica, Astrolabe e Aliénor, che pur involontariamente costituisce il terzo incomodo. I personaggi sono molto caratteristici: una donna brillante ed affascinante votata alla sofferenza (Astrolabe), una scrittrice autistica con un intelletto raffinato e geniale (Aliénor) e un dipendete di una società di servizi con un passato da aspirante filologo (Zoïle). Quest’ultimo è sicuramente la figura più riuscita. Da giovane aveva tentato di tradurre l’Odissea per passione personale e per cercare di imporsi agli occhi dei coetanei che lo accettavano malvolentieri. Zoïle, passatemi il termine, è una specie di Albatros baudelairiano capace di spiccare voli maestosi ma goffo una volta giunto al suolo. Tuttavia, questo rimando alla formazione letteraria in tenera età e alle conseguenti aspirazioni mi fa immediatamente fatto pensare a Le Parole di Jean Paul Sartre in cui Poulou, il protagonista, stentava a farsi accettare nella cerchia dei coetanei. «L’inferno sono gli altri», è la frase che Amélie Nothomb mette in bocca a Zoïle. Altro esplicito riferimento a Sartre. Gli altri, parafrasando, sono l’Inferno perché ci giudicano, perché ci impongono dei modelli e circondano con dei paletti fatti di convenzioni sociali e, così facendo, ci privano del libero arbitrio rendendoci ciechi di fronte alla realtà. Poulou e Zoïle, in ultima analisi, hanno patito la stessa sofferenza ed emarginazione negli anni della crescita, per mano dei coetanei. Sono entrambi degli Albatros che si differenziano però nella reazione di fronte allo status quo: Polou si riscatta attraverso la letteratura mentre Zoïle sceglie l’atto sovversivo. Come tutti i romanzi di Amélie Nothomb, Il viaggio in inverno è un romanzo che ti spinge a pensare, è scritto in maniera scorrevole, lucida e coinvolgente ed è caratterizzato da personaggi “critici” o quantomeno problematici. Il titolo fa riferimento a una famosissima opera di Schubert.
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