“Indian Highway”: l’India contemporanea in mostra al MAXXI
di Tiziano Moriconi / 24 dicembre 2011
L’india ha imboccato l’autostrada per il futuro. Mentre il governo indiano sta ultimando il mega progetto autostradale, che collegherà le maggiori megalopoli, protagoniste del vertiginoso sviluppo economico del paese, il MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma, ospita la mostra collettiva itinerante Indian Highway, realizzata in coproduzione con la Serpentine Gallery di Londra, e l’Astrup Fearnley di Oslo, e rivolta agli artisti indiani più rappresentativi, emersi nell’ultimo ventennio.
In programma al MAXXI fino al 29 gennaio 2012, l’esposizione Indian Highway si pone sin dal principio in maniera fortemente sperimentale, attraverso un progetto che cambia fisionomia durante il tragitto e che, grazie all’intensa collaborazione tra curatori e artisti, espone interventi sit-specific in ogni museo in cui viene ospitata.
Identità, trasformazione, accelerazione, memoria, contraddizione, transizione, integrazione e soprattutto consapevolezza politica. Sono gli argomenti principali su cui hanno riflettuto i trenta artisti invitati alla mostra.
L’emblematico titolo, metafora del paese e della sua vertiginosa corsa verso il futuro, racconta il boom economico, lo sviluppo tecnologico, le trasformazioni sociali, il confronto e la convivenza tra civiltà millenaria e società in divenire, identità e modernità, città in crescita esponenziale.
Una realtà quella indiana, che non può essere ridotta a mere dicotomie o luoghi comuni, e da cui scaturisce una dirompente pluralità culturale; ed è questa pluralità, che la mostra romana, grazie a un allestimento ineccepibile, opera dello staff del MAXXI Arte, riesce a ricreare e a restituire allo spettatore.
Il visitatore è invitato a calarsi completamente nella cultura indiana, attraverso dei percorsi tematici multisensoriali, dove al sovrabbondante uso del colore, all’iperdecorativismo, espliciti richiami alle tradizioni culturali e religiose del subcontinente, si alternano forme espressive più efficaci, più adeguate al linguaggio contemporaneo, come il video, le istallazioni e le ambientazioni audio/video.
All’ingresso del museo si viene immediatamente inebriati da fragranze che rievocano luoghi lontani, esotici, guidati dall’aumentare della loro intensità ci si ritrova circondati dai suoni della foresta sacra Law Kintang, che compongono l’istallazione sonora di Desire Machine Collective, “Trespasser will (not) be prosecuted”, esplicita testimonianza dell’incessante consumarsi della foresta, tragica conseguenza dello sviluppo tecnologico.
Al primo piano troviamo “Growing”, di Hemali Bhuta, un’opera realizzata con una pioggia di incensi sospesi, che inonda l’intera mostra con i profumi dell’India, rievocando la concezione indù della caducità della vita.
La grande collettiva è idealmente divisa in tre aree tematiche: “Identità e storie dell’India”, “Metropoli deflagranti”, e “Tradizione contemporanea”, in merito alle quali riflettono e dialogano le opere dei trenta artisti.
“Identità e storie dell’India”indaga gli aspetti sociali, politici, religiosi del paese, come testimonia il grande dipinto “Rape of India” di Fida Husain, un esplicito riferimento agli attacchi terroristici a Mumbai del 2008. Di immenso valore storico il video“The lighting testomonies”di Amar Kanwar, che racconta , attraverso le testimonianze di donne violentate, la tragica guerra tra India e Pakistan. Molto meno narrativo ma di straordinaria bellezza è l’istallazione “Untitled” di Shilpa Gupta, 185 lance lucenti incombono dal soffitto sullo spettatore.
“Metropoli deflagranti”si incentra sui temi dell’espansione metropolitana, del caos urbano, dell’abbandono delle periferie; ne fanno parte, l’affascinante istallazione “Date by Date”di Subodh Gupta, (artista omonimo di S. Gupta), il quale ricrea uno studio legale anni ‘50, con ventilatori cigolanti e macchine da scrivere con i tasti in indi; la suggestiva “The darkroom”di Sheela Gowda, dove lo spettatore viene invitato a entrare in un castello, formato da fusti di catrame, al cui interno risplende un cielo stellato, come a rappresentare la profonda umanità e la poesia che si possono nascondere all’interno delle bidonville.
Altra opera di forte impatto, che vale la pena menzionare è “Transit” di Valay Shende, un enorme camion scintillante a grandezza naturale, realizzato esclusivamente con sfere lucenti di acciaio inox, a bordo donne e bambini operai fatti con gli stessi elementi, che con lo sguardo perso nel vuoto, pieno di alienante rassegnazione, si dirigono verso la fabbrica. L’opera si propone di raccontarci il lato oscuro della spietata espansione industriale in India.
L’ultimo percorso tematico, non meno emozionante, è “Tradizione contemporanea”, il quale esplora la rielaborazione di antiche forme espressive della cultura indiana, come la miniatura, la ceramica e la pittura a inchiostro. In questa area tematica possiamo raccogliere le bellissime opere, piene di ironia, di Thukral & Tagra dedicate alla lotta all’AIDS, e composte da due quadri “Wander Woman II”e “Kindom come III”, che rappresentano una classica statua tantrica avvolta per metà da un incarto di preservativo; erotica quanto ambigua è la divertente carta da parati “Put it on”, dove sono ripetute le posizioni del Kamasutra, ognuna formata da una rosa e dalle gambe di Superman e Wonder Woman, una perfetta sintesi tra pop occidentale e tradizione indiana, miscelati con sapiente ironia.
Di particolare bellezza sono il gruppo di quadri “Untitled/Make no mistakes” di Bharti Kher, incentrate sul simbolico bindi, il punto colorato che le donne indiane coniugate, si disegnano sulla fronte.
Sensualissima in fine, è la trapunta di soffici piume di pollo, intessute da un sottile filo di metallo zincato, dell’artista Sakshi Gupta. La sensuale morbidezza del manufatto cela un’anima rigida.
Oltre ad essere una delle mostre più interessanti di inizio stagione, Indian Highway ci narra di un contemporaneo che è anche nostro, seppur lontano, è la concreta testimonianza che l’arte contemporanea indiana, incarna perfettamente lo spirito di un paese in rapida, vibrante, drammatica metamorfosi, dove gli artisti parlano la lingua globale dell’impegno sociale, attraverso i media di rapida presa come il video, la fotografia ma anche la pittura, il ready-made e l’artigianato locale.
Una mostra che consiglio a tutti di vedere, soprattutto in un momento come questo, nel quale osserviamo inermi il nostro Occidente piegarsi in due, stremato dalla crisi endemica che lo attraversa.
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