Una mia cara amica ha cambiato la foto del suo profilo, di recente (Facebook, certo…). Per qualche ora l’ha lasciata com’era: io le cingo castamente una spalla e rido, in piedi, accanto a lei seduta. Rido felice della presenza sua come di quella di altri, tanti, per la prima volta in una casa mia (non del tutto: è mia mese per mese) a celebrare una ricorrenza per troppi anni lasciata cadere nelle pastoie delle mie depressioni.
Poi l’ha tagliata, la foto-profilo. Ha tagliato me. Rimane la mano, posata non a ghermire (e si vede). Allegoria perfetta dei tempi, questa rimozione.
Intendiamoci: io le voglio bene, ma non quel bene. Chi ci conosce lo sa, e credo mai avrebbe dubitato di scopi (timbro aperto) “altri”. La rimozione è allegorica: rende la presunzione (etimologica) imposta (dal consumo) di dover imparare a poter bastare a noi stessi. Rende la rivendicazione di essere noi, artefici degli stati d’animo che ci rendono belli tanto da meritare di farci copertina dei nostri album (alba?!) digitali. La mia amica ha ritagliato la causa del suo sorriso e della sua raggiante bellezza: io, la situazione, la sua stessa presenza lì a onorare il mio invito.
Dovremmo resistere a questo complotto pro-singletudine. Resistere con tutta l’energia di cui siamo capaci nelle rivolte perché… non è così che funziona. Non siamo belli affascinanti profondi attraenti desiderabili di per nostro: lo siamo in relazione.
Mi si dice spesso (vanitas vanitatum) che sono bello. Buffo, perché mi viene detto sempre dopo che ho espresso il mio io più vero in relazione. Che per me poi significa servire secondo talento il prossimo. In soldoni, mi si dice che sono bello dopo una lezione, dopo una chiacchierata di taglio personale, dopo che ho saputo sacrificare il mio utile a quello comune o altrui. Io mi diverto così: evidentemente traspare. Dal cuore agli occhi, che ne so io: mi specchio, come la mia amica sa, di rado.
Mi pare così ovvio, il meccanismo, ma non mi riesce di farlo intendere (e che follia, che altra donna non s’avveda di quanto bella si fa quando le ronzo attorno!). Non mi riesce, specie se uso quelle parole. Capisco il rifiuto del sentore liturgico (che ci posso fare?! è il mio lessico!), ma c’è altro: c’è una barriera di preconcetto. Bello ormai è sexy, sexy è seducente, seducente è ben vestito, ben vestito è tonico, tonico è a dieta, a dieta è palestrato, è…
È quell’odioso indaffaratismo che sta avvelenando ogni relazione. Rapacizzandola. Hic et nunc, tutto. Last minute anche dei sorrisi.
No, non mi offende esser stato tagliato via (tanto la mano resta, e pure il braccio…). Mi preoccupa il bisogno di essere monade. L’impulso al me, centro di ogni accadimento e sensazione. Uomini isola, posture in posa, sorrisi autoreferenziali. Promozionali.
Il rischio è la relazione, l’evento, senza spin-off.