Cosa ti ci porta, al Teatro Volturno? La curiosità, la voglia di sperimentare come ancora possano coniugarsi, in questa capitale avvizzita d’umori e cliché, alterità e decoro. Cosa ti ci avvinghia? La qualità delle persone. O forse no, forse c’è altro.
Domenica pomeriggio, di quelle narcotiche e di dubbi. «Sarei dovuto essere altrove», e una sequela di condizionali che derivano dal passato. Preoccupante: le ipotetiche di terzo grado sono quelle dell’irrealtà, e d’irreale e di sentor di “troppo tardi” si nutre la psicosi.
Volturno sia, allora. Per reazione, per azione. Il pretesto è un pomeriggio cinefilo. Il gancio… Maria, che incrocio prima di saperla tale e già mi chiede, raggiante per la via, di accompagnarla al drugstore di Termini a… comprare la pasta.
La pasta?! «Sì, perché dopo il film la offriamo a chi è venuto». E pasta sia. All’andata si parla d’amore, il suo; al ritorno, del mio. Al solito, meglio l’andata. Il tutto come amici ben rodati, senza filtri o remore. Amici veri. Comincia a piacermi, lo stile Volturno.
Il film va, ed è capolavoro, Non solo la pellicola: l’ambiente, la qualità della partecipazione. Pare il salotto di casa. Sarà lo spazio aperto, immenso, saranno i modi franchi e accoglienti dei ragazzi dello staff (“Collettivo”, imparerò), sarà la pasta all’intervallo (il tasto “pausa” sul Mac bianco), ma io un film non me lo gustavo così da anni. Facile sociologia, certo, ma quest’antitesi al multisala è proprio palese; anche al cineclub, al paranoiame autoreferenziale delle tane dei cinefili oltranzisti. Mai vista pasta, là, né sorrisi e commenti in libertà. Sì, anche a proiezione in corso. Magicamente, non disturba.
Sono passati mesi, da quella domenica. E tante altre ore trascorse nello “Spazio” (maiuscolo, anche questo ho imparato). S’è trattato quasi di un’osmosi: catalizza, il Volturno, le migliori intenzioni. E le rende servizio. Alla struttura, si penserà: e invece no. A un’idea. Di arte, di apertura al reale e al territorio, di limatura, anche, delle proprie competenze, al vaglio dell’utile altrui. Raramente ho visto aggregazioni così eterogenee darsi regola quasi da sé, per propensione naturale e selezione operativa delle priorità.
Quattro sere a settimana, apre il Volturno. Teatro, Musica, Cinema. In tutte le declinazioni possibili: non manca la letteratura, non mancano le arti visuali, non manca nulla. Spazio Aperto per davvero: chi s’avvicina è accolto, anche se approccia (e ne ha titolo, ci mancherebbe) per consumo d’un evento, dallo stesso ritornello: «Sei un artista? Ne conosci? Proponiti, qui puoi farlo». E lo fa, lo fa davvero. Lo fanno quasi tutti. Tante serate, iniziative, rassegne – tutte, a mia memoria, hanno preso l’abbrivio dal sorrisetto scettico sulle prime (come biasimare?) di chi s’è sentito non accolto ma invitato. E non a recitare, ma a fare la propria parte.
Dev’essere quello, che avvinghia al Volturno. La libertà d’essere, soprattutto per chi è fuori dagli schemi, che diviene però poi libertà di partecipare. Si riceve e si restituisce, questa libertà eterodiretta, nel gusto di una responsabilità finalmente oltre sé stessi. Oltre, persino, lo Spazio che t’impegna. E il tutto sa – e quanto manca, e quanto è bello che ci sia – di spontaneo indirizzato, di fatica bene spesa.
Di cultura per davvero.
A Paolo e Guglielmo, Maestri d’arti e di passioni.
[Info e programmazione:VolturnOccupato]