È sempre colpa di un libro. È sempre lì, nelle pagine comprese tra due copertine, che s’annidano le idee più bislacche e malsane. Peste incolga Melissa P. e il suo Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire. E la mia decisione di lasciarmi crescere i capelli. Perché no?!, mi sono detto, e ora eccomi qui: caschi il mondo, che io sia in casa, in campeggio o ospite d’amici, non riesco a mettermi a letto senza contarne 100, di colpi di spazzola. Mi corico pettinato come mai lo sono durante il giorno. E questo è un paradosso interessante. 1, 2, 3… da sinistra verso destra, avendo buona cura di coprire coi dentini della spazzola tutte le zone del cuoio capelluto. 25, 26, 27… senza trascurare mai la zona del collo, la più impervia.
Dai capelli ai denti il passo è stato breve: 31, 32… molari, incisivi, tanta cura ai denti del giudizio. 55, 56… e gli ultimi 10, sempre, ai denti che fanno il fronte del mio sorriso. 99, 100, un bel bicchiere d’acqua e sogni d’oro.
Poi ho cominciato a contare i passi. Da casa all’ufficio sono 654. Il divertimento è al rientro: conto a ritroso, e mi pare (456, 455…) di cullarmi verso la pace, con questa litania cifrata: 223, 222… e via le chiavi del portone: 87, 86, e il portoncino: 3, 2, 1, casa dolce casa.
Dopo un po’ quando conti, e conti davvero, ti lasci prendere la mano. Quanti giri di cucchiaino, prima di bere il caffè? 27. Le leccate al Fiordifragola, prima di ritrovarti in mano il bastoncino? 71. Scolapasta e pentola? Li lavi in 66. Il letto lo rifai in 25. Il mondo ormai m’è diventato un campo di mirabili scoperte. Evito i semafori il cui rosso duri più di 75. La metro è inaffidabile: San Paolo-Termini oscilla troppo, dipende dai passeggeri e dai trasbordi, ma mai sotto 1.000. Ma che gusto, che soddisfazione, quando i conti tornano. Quando un 81 rimane 81 a prescindere dal clima, o un 111 viene a confortarti che no, non è vero che tutto cambia e tutto si trasforma: quel 111 sarà lì con te per il resto dei tuoi giorni.
Quando conti, conti davvero. M’era preso di contare anche le spinte pelviche. «Dimmi qualcosa, sei così silenzioso… Amore, parlami…» «77, 78!». Non l’ho più rivista. Non è da tutte, stare con uno che conta davvero. È un peso troppo grande da sostenere.
Gli amici cari lo sanno, e non si stupiscono. A cena, passeggiando, nel bel mezzo di un’accorata discussione lo sanno, che quando m’astraggo sto dando fondo alla mia passione. Conto. Le boccate di sigaretta del dirimpettaio, i colpi di tacco della sventola che ci viene incontro, i ni-no ni-no no-no della sirena dell’ambulanza prima che scompaia del campo uditivo.
Una conta dà poca soddisfazione: quanto impiego a capire di star parlando a un novello deficiente. 1, 2… raramente arrivo a 5.
Io conto parecchio, e col passare degli anni sto diventando proprio bravo. Faccio anche le premonizioni: «Sarà un 37 o un 28?!». E quando ci prendo… oh!, quando ci prendo è proprio bello. Quando sbaglio no. Quando sbaglio m’arrabbio, e tanto. Divento nervoso, intrattabile. Quella signora doveva attraversare in 22, e invece ci ha messo 41. E io l’ho investita. Così impara. Sempre che sì rialzi: m’è parsa immobile, nello specchietto retrovisore.
Mhm, una volante m’insegue… A sirene spiegate, bello: ni-no, ni-no, ni-no… e tutto per me! Quanto ci metto, se m’impegno, a farmi sparare addosso? 1, 2, 3…