“Un sapore di ruggine e ossa” di Jacques Audiard
di Francesco Vannutelli / 5 ottobre 2012
A tre anni di distanza dal pluripremiato Il profeta, Jacques Audiard torna al cinema con Un sapore di ruggine e ossa. Partendo dalla raccolta di racconti Ruggine e ossa di Craig Davidson (edita in Italia da Einaudi), Audiard e il suo sceneggiatore Thomas Bidegain hanno dipinto una storia di solitudine, violenza e disgrazie che diventano occasioni.
Alì (Matthias Schoenaerts) è un solitario inquieto che si ritrova a dover badare a Sam, il figlio di cinque anni abbandonato dalla madre senza troppe cerimonie. Incapace di provvedere al bambino, Alì decide di raggiungere la sorella Anna (Corinne Masiero), che non vede da anni, nel sud della Francia, ad Antibes. Lì trova un lavoro, una casa nella rimessa del cognato, una possibilità di vita normale. Una sera mentre lavora come buttafuori in un locale notturno, conosce Stéphanie (Marion Cotillard), bella, altera, sfrontata, che va a ballare di notte da sola per sentire gli occhi degli uomini su di sé («mi piaceva essere guardata, ero seducente, mi piaceva vedere gli uomini eccitati poi però mi annoiavo»). Dopo averla salvata da una rissa, Alì la riaccompagna a casa e le lascia il suo numero di telefono. Lei lo chiamerà solo una notte di alcuni mesi più tardi, dopo che un’incidente terribile al parco marino, dove lavorava come ammaestratrice di orche, le ha portato via entrambe le gambe, sotto il ginocchio. Tra i due inizia una frequentazione fatta di poche parole e molta, immediata, intimità. Attraverso Alì, Stéphanie ritrova la voglia di vivere e più semplicemente di esistere. L’animalesca vitalità di Alì, che nel frattempo si è dato ai combattimenti clandestini di full contact, la sua ingenua crudeltà, danno alla donna il coraggio di tornare sé stessa e di imparare a camminare di nuovo, sulle sue nuove lucenti gambe di titanio. Alì troverà in Stéphanie qualcuno in grado di capirlo e di tenergli testa, di dargli forza e di insegnargli finalmente a prendersi cura di qualcuno e di sé stesso.
Schoenaerts e Cotillard sono perfetti sullo schermo. Danno ai loro personaggi quella dignità e forza che sono l’arma in più del film. L’intesa silenziosa di Stéphanie e Alì, istintiva e semplice, riempie lo schermo. Nel descrivere l’orrore della mutilazione, Audiard non cede alla compassione ma percorre con la telecamera le cicatrici che segnano con una croce dove un tempo erano le gambe. La rappresentazione della violenza, sia fisica che psicologica, è cruda e diretta. La macchina da presa sembra pedinare i protagonisti, spiarne le vite con riprese ravvicinate quasi ossessive. I due attori si lasciano frugare dalla telecamera, concedendosi senza remore con il corpo e lo sguardo.
Indebolito da svolte narrative eccessivamente prevedibili, soprattutto nel finale, e dalla lirizzazione enfatizzante della rozza primitività di Alì, insensibile e irresponsabile, incapace affrontare la vita se non prendendola a cazzotti, Un sapore di ruggine e ossa è un film che colpisce per la sua durezza, per la descrizione del dolore priva di compassione e retorica, e per la grande prova di attrice di Marion Cotillard, capace di comunicare con tutto il corpo la storia di una rinascita.
(Un sapore di ruggine e ossa, regia di Jacques Audiard, 2012, drammatico, 118’)
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