[AutoFocus] Le fiabe in 3D del nuovo cinema d’animazione
di Piera Lombardi / 21 dicembre 2012
Cosa resta di noi tutti senza le belle credenze universali e senza tempo? Che non sono i mobili dove riporre stoviglie disegnate a mano dalla trisavola, ma le suggestioni collettive sentite fino alla fede; le leggende che danno profondità al reale, lo rendono fantastico, permettono di elaborare emozioni e addomesticare paure ancestrali.
Senza meraviglia, sogni, speranza, capacità di scorgere oltre le apparenze, ma anche senza memoria, la vita è una successione di scene prive di senso proiettate su uno schermo piatto.
Questo e altro sembrano voler suggerire le proposte cinematografiche del Natale 2012, in particolare due scelte nel mucchio, Le cinque leggende e Un mostro a Parigi, per non andare a parare là dove tutti si aspetterebbero che si andasse a parare, Lo hobbit. Proposte rivolte ai bambini, ma capaci di adescare famiglie o tronconi scomposti di esse. La morale è sempre quella, ma occorre ripeterla e aggiornarla in altri modi, effetti speciali compresi: la luce vince il buio e le tenebre; la gioia e il coraggio sono più forti della paura; veramente mostruoso è ciò che di oscuro in noi proiettiamo nell’alone luminoso altrui tacciandolo pure di malvagità.
I film indicati esaltano le categorie del fiabesco, del fantastico; assolvono funzioni ritualistiche collettive, persino totemiche. Amplificano messaggi e suggestioni multiple utilizzando, dalla sceneggiatura alla costruzione delle immagini, una tecnica simile a quella che, riguardo alle modalità di esprimersi dei sogni, Freud definì “condensazione”. Abbiamo alle spalle tanto di quel sapere e tante di quelle svolte evolutive: perché mai non utilizzare un tale concentrato con finalità certo di botteghino ma che nel contempo attivano capacità trasformative tradizionalmente attribuite alla fiaba? Nell’età che è stata definita con formule lapidarie (epoca delle passioni tristi, della liquidità, della tecnocrazia) il villaggio globale manifesta un enorme bisogno di riallacciarsi al mito, alla leggenda, alla fiaba avvalendosi del cinema come strumento privilegiato per sottrarci alle paure, non già di fine del mondo, ma di perdita di orizzonti ideali, perdita dell’infinito in ogni uomo-bambino, estraneità a se stessi.
Se come scrisse lo psicoanalista Bruno Bettelheim, «la fiaba dà voce ai conflitti psichici del bambino e ne suggerisce possibili mediazioni, fornendogli modelli di identificazione», figuriamoci cosa può un racconto animato.
La fiaba non è mai morta, magari ha sonnecchiato o si è camuffata; risorge sia pure in versione fantasy, videogioco, cartone, con le implicazioni antropologiche e sociologiche che sottende. Sigmund Freud, negli stadi iniziali della teoria psicoanalitica, riteneva che per interpretare i sogni fosse necessario riconoscere i simboli e i temi presenti nel folklore e poi attinse al mito fino a farla diventare categoria classificatoria e diagnostica. Qualcosa del genere avviene in queste complesse macchine narrative.
Ne Le cinque leggende, produzione squisitamente letteraria perché tratta da un libro fantasy per ragazzi scritto da William Joyce, si attinge a una tradizione di genere che pone le sue radici nelle favole: c’è un “raduno” di classici e meno classici personaggi simbolici e leggendari, sia pure con connotati cambiati o aggiornati, in veste di spiriti del bene, “guardiani” dell’infanzia ma soprattutto dei sogni dei bambini. Babbo Natale chiamato Nord, la Fatina dei denti, Il Coniglio pasquale e Sandman (di tradizioni prettamente anglosassoni), quindi Jack Frost, un Peter Pan in versione folletto delle nevi. Babbo Natale non è il bonario vecchino di maniera ma un taglialegna nordico d’accento russo con tatuaggi sulle braccia e un seguito di elfi e yeti sfruttati per produrre regali; Sandman, è lo spirito dei sogni circondato da sabbie dorate; Calmoniglio (il Coniglio pasquale) pare più un ninja; Dentolina (la Fatina dei Denti) è un colibrì umanoide.
Chi vuole instaurare un dominio di terrore per spegnere per sempre i sogni dei bambini e popolare le loro notti di incubi e disperazione è l’Uomo Nero (come non poteva mancare), Pitch Black. C’è anche un Uomo della Luna che incarica il dispettoso ragazzino che ha perso memoria del proprio passato ed è perciò invisibile ai bambini di fare da quinto guardiano: così potrà ricostituire la sua identità. La sceneggiatura va a insistere sulle paure ancestrali e sul bisogno di poter credere in qualcuno per agganciarsi a un’identità stabile e centrata. Cercare l’identità e il proprio ruolo nel mondo equivale a trovare il proprio centro suggerisce Nord, ovvero vedere ogni cosa con gli occhi pieni di meraviglia mista a senso dell’umorismo. Se anche solo un bambino continua a credere nei sogni, l’umanità sarà salva.
Cartone raffinato e delicata favola retrò, Un mostro a Parigi insegna a diffidare della propria “mostruosità” invece che di quella attribuita ad altri, a sviluppare accettazione e tolleranza.
Per un incidente di laboratorio, una pulce diventa un enorme scarafaggio volante e canterino, dall’animo buono e dalla voce incantevole. Chi lo perseguita, un bieco prefetto in cerca di consenso politico, è il vero mostro. Il rimando alla categoria del mostruoso declinato dall’antichità in tante forme e modi è esplicito fin dal titolo. I richiami anche favolistici e letterari sono tanti (in prevalenza al Fantasma dell’Opera).
Al centro di miti, leggende e fiabe a ogni latitudine (ci risiamo) il mostro nelle sue tante incarnazioni o andava combattuto o rispettato perché, al di là delle apparenze, manifestazione del sacro e del divino, perciò dotato di facoltà extrasensoriali, poteri magici o soprannaturali.
Il potere più invincibile, suggerisce il cartone, è quello della bontà e della grazia declinate in forme creative. Scriveva Carl Gustav Jung: «Non si diventa illuminati immaginando scenari luminosi, ma portando alla luce le proprie oscurità interiori». Con la scusa dei film di Natale per bambini si portano alla ribalta gigantesche ombre gettate in fondo al pozzo. Da “illuminato”, Jung poneva l’attenzione sul cuore della faccenda umana, vexata quaestio che ritroviamo anche alla voce intrattenimento per bambini: «L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito».
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