“Semplice” di Stefano Simeone
di Giulia Zavagna / 30 gennaio 2013
Semplice (Tunué, 2012), anche se solo apparentemente, è la graphic novel d’esordio di Stefano Simeone. Atmosfere oniriche e dolciastre – dall’indefinito sapore di zucchero filato gusto puffo – e sfumature rigorosamente pastello per raccontare una storia in bilico tra la monotona realtà e una sfrenata immaginazione.
Mario è un ragazzo come tanti, vive in una cittadina di provincia; si divide tra un lavoro in fabbrica ereditato dai genitori e la passione per i videogiochi; sposa, un po’ per noia, un po’ per rassegnazione, valori altrui, lotte altrui. Conduce, appunto, una vita semplice, prevedibile, ripetitiva ai limiti della confusione. Come gestire una quotidianità in cui la semplicità è tale da mostrare il suo lato negativo, non più mancanza di difficoltà e ostacoli bensì monotonia e una soffusa oppressione? Ogni personaggio – in una galleria di tipi umani che ci strappa, a ogni pagina, un sorriso amaro – ci prova a modo suo.
Per Michele, bambinone affetto da erre moscia e da una vaga ossessione per le “pecove”, l’unico passatempo sembra essere la ricerca di un nome geniale per un parco a tema, sulle pecore appunto. Ernesto, «lo stereotipo del vecchietto nostalgico», nonché campione imbattuto di boccia-bowling, vive in una continua rievocazione del glorioso passato, addolcito dalla laconica presenza di Brenda, la sua adorata ruota panoramica. Gli operai della fabbrica, ovviamente, rompono la monotonia giornaliera scatenando la «revolusiòn», poi sopita con una semplice macchinetta per il caffè. Per Mario, invece, il diversivo non sta nel mondo reale, ma in quello immaginario: anche se in un momento di stanca, lui è un supereroe.
I toni vagamente infantili cui sottende tutto il fumetto si sovrappongono a una complicata e ben riuscita alternanza tra realtà e fantasia, in cui il potere dell’immaginazione sembra lenire, almeno apparentemente, il tedio di una vita priva di svolte. Fino a quando, come in ogni storia di formazione che si rispetti, la svolta arriva davvero, e non potrebbe essere più reale di così: capelli lunghi, occhi grandi, appassionata di cinema. Non è una principessa da salvare, ma qualcosa di infinitamente più complicato: Giada, una studentessa fuori sede, che torna al paese dalla «città moltomoltolontana» dove si è trasferita per l’università.
Ecco il punto di rottura: la collisione tra la sicurezza dell’infanzia e l’incertezza della vita adulta, tra l’abitudine e il nuovo, tra la realtà e la fantasia è tale da provocare addirittura un’esplosione degna di un fumetto fantasy vecchio stile, con tanto di «katooom» a caratteri cubitali. Il cambiamento genera un vortice a tratti esilarante: come tutti, Mario non fa che ripensare agli attimi vissuti e a immaginare quelli che verranno, in una ripetizione di varianti infinite, in cui ogni minimo dettaglio, dai colori utilizzati alle impercettibili didascalie, diventa fondamentale.
Simeone ci racconta così una storia il cui contenuto si adatta naturalmente alla forma. Semplice sembra avere infatti tutti gli elementi tipici che caratterizzano un certo filone di graphic novel: un percorso di formazione, di educazione sentimentale, la rottura della barriera della solitudine o, in poche parole, il tanto temuto “diventare grandi”. Insomma, quel momento in cui niente è più semplice, ma forse tutto diventa vero.
(Stefano Simeone, Semplice, Tunué, 2012, pp. 175, euro 16,90)
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