L’ispirazione spira.
Di noia, le più volte. O di saturazione: tanto hai scritto di una cosa (o pensato, ed è lo stesso) che ti viene naturale per un po’ fare come bimbo stufo del balocco preferito. Lo riponi in un cassetto e non ci pensi: altri giochi esistenti o immaginari ti popolano i sogni. E se torni a giocarci controvoglia, peste te ne incoglie: quello che ti piace a inizio settimana o un giorno prima, ti pare ora melenso, trito, e tutto da buttare. E rischi di farlo per davvero: prendi il gioco come l’è, con la scatola il corredo e gli accessori… e lo butti nella tromba delle scale.
Quando l’ispirazione spira, meglio non insistere. Meglio dedicarsi ad altro, davvero. Tanto non c’è verso (oops, letteralmente…): le idee non vogliono proprio saperne di mostrarsi e a spremersi le meningi non è che se ne cavi succo… Solo grandi emicranie. Quando l’ispirazione spira e di mestiere si campa di parole è proprio un gran casino. Non tanto sul profilo dei dané (i poeti, si sa, so’ parsimoniosi e formicoidi) ma in autostima: «E che faccio se non torna? A che servo se non forgio di pensieri e di parole? Vero, Mamma, vero, era meglio Medicina!»
Di norma va così. Quasi sempre. Perché ogni tanto, invece l’ispirazione spira ed è un bene che lo faccia. Meglio: è inevitabile, che spiri. Succede quando vita si fa verso e le parole di ogni giorno letterate. Quando l’ispirazione spira di vita, ecco. Nei gesti. Nei pensieri spontanei. Nelle pose ritrovate, specie se dimentiche per anni. Negli sguardi, o in quei moti di gratitudine verso l’Universo l’Esistente Dio, per chi ci crede, che ancora una volta e per l’ennesima volta hanno cospirato a realizzare la tua felicità.
Certe volte se l’ispirazione spira è perché sei innamorato cotto e l’oggetto (ok, il soggetto…) del tuo desiderio è lì ed è lei (ok, oppure lui…) e non ti va né poco o punto di muover bocca se non incontro alle sue labbra e penna ancora meno perché poco c’è da inventare o ricordare quando la vita di affetti ed emozioni è solo presente e tutta in divenire. Quando ogni tuo fiato è afflato e la misura del senso delle cose è nel sorriso che scopri speculare o complementare, e davvero poco cambia chi o cosa, quando e dove e chi per primo.
Se l’ispirazione spira perché ami, chi non ti legge più se ne sa fare una ragione e in cuor suo spera di non leggerti ancora per un pezzo (e bello) perché è bene, che le tue parole siano intese a due orecchie sole e il tuo intimo svelato a chi ne ha titolo davvero e te lo plasma. Chi non ti legge più rilegge indietro, e scruta tra le righe quanto di arguzia pathos e voglia di vivere davvero hai trasformato in gioco di parole, rima lieve o stizza artata. Chi non ti legge più ma ti vuol bene è grato che a spirare, foss’anche solo per un giorno o voglia Iddio la vita intera, sia stato ciò che muore invero mai…
… ma si trasforma.