[LibriCome4] Giorgio Agamben racconta Baudelaire e Benjamin
di Chiara Gulino / 18 marzo 2013
Non tutti sanno che negli ultimi anni della sua breve vita Walter Benjamin si concentrò sulla figura di quello che può essere considerato l’iniziatore della poesia moderna, Charles Baudelaire, il flâneur per eccellenza, il poeta dell’esclusione sociale, colui che sperimenta e osserva attentamente, aggirandosi stancamente per le vie di Parigi senza la fretta frenetica delle persone che lo circondano, l’alienazione provocata dalla realtà artificiale delle metropoli.
A scoprire il manoscritto di Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato fu nel 1981 il curatore del volume in uscita per Neri Pozza, Giorgio Agamben. Ce ne dà contezza nell’ambito di uno degli incontri programmati da “Libri come”.
La storia o meglio la preistoria del rinvenimento dell’opera frammentaria è per certi versi avventurosa. Quando trentadue anni fa, Agamben si recò alla «Bibliotheque nationale» di Parigi, cercando fra la corrispondenza del filosofo e antropologo francese, grande amico di Benjamin, George Bataille, ha la fortuna di imbattersi in una serie di manoscritti vergati dall’inconfondibile calligrafia minuta benjaminiana, lasciati in deposito nella biblioteca dalla vedova di Bataille e non ancora catalogati.
I manoscritti parigini sono una scoperta straordinaria perché permettono di gettare luce sul metodo di lavoro del grande intellettuale tedesco. Infatti quello che all’inizio si presentava come un capitolo di al massimo 30/40 pagine o meglio un «modello in miniatura» dell’opera che stava allora scrivendo, i Priser Passagen, frutto delle sue lunghe passeggiate da osservatore sociale della capitale francese, diventa un mese dopo un libro autonomo di ben più ampie dimensioni. L’importanza di quest’opera nel laboratorio benjaminiano degli anni 1937-1940 è sottolineata anche dal fatto che quella che fino a ieri veniva considerato l’ultimo libro compiuto di Benjamin, le Tesi sul concetto di storia (1940), venga da lui stesso definito «un’armatura teorica per il secondo saggio su Baudelaire». Molti dei materiali raccolti per i Passagen finiranno così nel confluire nel saggio su Baudelaire, rendendo quella che doveva essere l’opera principale una sorta di schedario.
Quello su Baudelaire seppur frammentario è il vero ultimo libro di Benjamin e l’edizione curata da Agamben rappresenta un osservatorio privilegiato da cui seguire le varie fasi della genesi e dello sviluppo di quel vero e proprio work in progress che fu il saggio sul poeta francese. Ed è tanto più meritoria questa edizione in quanto consente di fugare quella leggendaria aura si esoterismo che da sempre circonda la figura di Benjamin entrando nei processi materiali della sua scrittura e gettando così luce sulla sua teoria.
Ma Charles Baudelaire è un’opera che procede per dove? E qual è la differenza fra un’opera compiuta e una non compiuta?
A questa domanda, solo apparentemente semplice, Agamben cerca di rispondere portando due esempi: quello di Petrolio di Pier Paolo Pasolini, romanzo tutt’altro che finito ma pubblicato come tale e il Roman de la Rose, poema iniziato da un autore e terminato da un altro. Più che di fine di un’opera, sottolinea Agamben, occorrerebbe parlare di “abbandono” da parte di quello scrittore della propria creazione.
A ben vedere ogni opera può dirsi un’opera «in cammino» verso la sua forma definitiva o per meglio dirla all’Aristotele «verso se stessa».
Avendo bene in mente la distinzione marxiana fra «modo della ricerca» e «modo dell’esposizione», Benjamin divise il suo lavoro in due fasi non necessariamente cronologicamente contigue: la documentazione e la costruzione (ovvero la dispositivo di cui parlava Cicerone nel De oratore).
Avviene così che il materiale raccolto da Benjamin lungi dall’essere qualcosa di inerte su cui proiettare la sua teoria, si fa vivo, magma che contiene già in sé le forme di un potenziale sviluppo. Qui è possibile anche intravedere ciò che Benjamin intendeva per filologia definendola una «pratica mistica». Questi materiali palesano già in sé un intimo legame: «Avviene qui, per il rapporto fra documentazione e costruzione, qualcosa di simile a quanto Benjamin descrive per l’incontro fra passato e presente nell’ “ora della conoscibilità”».
La costruzione è la parte centrale, più lunga e tormentata, del metodo benjaminiano. Adorno parlò di «montaggio scioccante» cui Benjamin replicò così: «L’apparenza della chiusa fatticità, che aderisce alla ricerca filologica e getta il ricercatore nell’incanto, svanisce nella misura in cui l’oggetto viene costruito nella prospettiva storica. Le linee di fuga di questa costruzione convergono nella nostra propria esperienza storica. Con ciò l’oggetto si costruisce come monade. Nella monade diventa vivo ciò che come reperto testuale, giaceva in mitica rigidità».
L’esperienza dello shock nell’ambiente urbano di Baudelaire rivive nel «montaggio scioccante» di definizione adorniana tanto da confondere il volto del poeta flâneur che passeggiava per i boulevard parigini con quello del filosofo e critico tedesco.
(Walter Benjamin, Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, a cura di Giorgio Agamben, Barbara Chitussi, Clemens-Carl Härle, Neri Pozza, 2013, pp. 944, euro 23)
L’evento si è svolto sabato 16 marzo presso il Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, all’interno del festival Libri come.
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