[Focus] Serie cancellate: un viaggio tra dubbi, domande e qualche mistero
di Mirko Braia / 24 aprile 2013
Se avete seguito gli articoli pubblicati questo ultimo mese avrete probabilmente notato un punto di contatto comune alle serie presentate: in tutti e tre i casi non si è andati oltre la prima stagione. C’è chi ha pensato a questa scelta dal primo momento e c’è chi invece ha dovuto fare i conti con cancellazioni più o meno impreviste. Da spettatore prima che da redattore mi sono voluto soffermare su questo punto perché questa pratica, a mio parere barbara, sta prendendo sempre più piede negli ultimi tempi, soprattutto negli Stati Uniti, dove la mole di show presentati ogni anno è sempre più imponente.
Inutile soffermarsi sulle motivazioni, tanto semplici quanto evidenti: dovunque c’è televisione scatta la lotta per gli ascolti, e non c’è compassione per gli sconfitti. I ratings sono un giudice spietato, e qualsiasi rete (soprattutto i colossi della TV in chiaro) si ritenga minimamente delusa da un suo programma corre ai ripari sempre più velocemente e brutalmente. In principio era la pazienza; come prevedibile tutti gli show vengono valutati al termine degli episodi andati in onda, ovviamente non per la loro qualità o tramite le impressioni del pubblico, ma per il numero di appassionati riusciti a richiamare. Il verdetto è secco, senza rinvii a giudizio. La dignità di una stagione completa è salva. Con il tempo scatta l’ultimo giro, per gentile concessione del network il moribondo programma potrà arrivare a una sua conclusione, ma nessun pensiero a folli rinnovi. È il triste destino che ha accomunato 666 Park Avenue e Last Resort in questo ultimo anno. Ma il meglio deve ancora arrivare.
Poche settimane fa alcuni telespettatori di serie partite senza estreme pretese sono stati costretti ad assistere alla cancellazione in corsa. ABC (sempre in prima linea) e The CW hanno infatti dato il benservito a Zero Hour e Cult dopo rispettivamente tre e sei episodi, “rubando” di fatto ai pochi fedeli qualche ora di televisione per uno show ovviamente con un capo ma senza coda. Un atteggiamento (come già accennato nelle scorse settimane) piuttosto irriguardoso nei confronti di chi aveva dato credito a tutti questi progetti.
Per carità, la “colpa” sta anche nei gusti della maggioranza degli americani, veri e propri patiti di reality show e compagnia bella, dominatori incontrastati dei palinsesti e assassini di tanti programmi rei soltanto di essere stati inseriti in una fascia d’orario sbagliata. Rimane comunque un atteggiamento prettamente “made in USA”, dove non sembra esserci linea di confine tra buon prodotto e capolavoro: la continua ricerca del nuovo show con cui vincere il jackpot non ammette compromessi, o si compie la missione o si fallisce. Paradossalmente in questo modo abbiamo dovuto assistere al rinnovo di serie come Revolution, uno dei flop di questo anno, già sicura di tornare la prossima stagione dopo una decina di episodi scarsi.
Questa pratica non deve però essere dipinta come prassi in tutto il mondo: la Gran Bretagna negli ultimi mesi e anni ha sfornato tante (neanche troppo) piccole perle entrate di diritto nelle note liete di questo anno, come A Young Doctor’s Notebook, Misfits, Sherlock, Black Mirror e la freschissima Utopia (di cui vi parleremo a maggio). Non può essere ignorato il rovescio della medaglia, perché se dal Regno Unito arrivano pochi tagli brutali è altrettanto vero che il numero di show presentati ogni anno risulta decisamente inferiore rispetto alla mandria statunitense.
Viene da chiedersi se non sia questa la strada da intraprendere: rinunciare a qualche tentativo in più di sfornare lo show definitivo cercando di alzare la qualità per dare più possibilità alle varie serie di catturare fette di pubblico sempre maggiori. Il percorso delle reti americane in questo momento non sembra essere quello giusto, e un’altra piccola dimostrazione può essere la rosa di pretendenti agli Emmy Awards, per una buona metà sempre uguale da diversi anni a questa parte. Soltanto Homeland nel 2012 è riuscito a scalzare Mad Men dopo anni di dominio incontrastato contro i soliti noti, come Dexter, Breaking Bad o Boardwalk Empire. Non fraintendetemi, la critica non è da ricercare negli ultimi nomi fatti, quanto piuttosto in una mancanza di alternative valide con cui sfidare i mostri sacri.
Il vero consiglio da potervi lasciare rimane quello di non affezionarvi in alcun modo agli show televisivi, perché nella maggior parte dei casi prima o poi vi tradiranno e abbandoneranno. Informatevi il più possibile (magari tramite Flanerí) sul successo avuto, su eventuali conferme per il loro futuro e non siate impazienti, perché aspettare un po’ di più può salvarvi da grandi delusioni.
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