[Retrospettiva] “7-14-21-28” di Flavia Mastrella e Antonio Rezza
di Luca Errichiello / 10 maggio 2013
Richiede continui salti interpretativi Antonio Rezza. La struttura dei suoi spettacoli è fatta di flussi di suoni più che di parole, di visioni più che di immagini, che necessitano di un salto della ragione per essere compresi. Alla spiegazione razionale si sostituiscono di volta in volta espressioni mimiche, suoni gutturali, costumi improbabili.
Eppure, anche in 7-14-21-28, Rezza riesce ad arrivare alla sua forma di comunicazione, quella che, proprio inorridendo il pubblico, lo fa ridere.
Èuna risata sporcata dalla sicurezza che ogni storia narrata si concluda con l’ennesima frantumazione di senso comune, con l’ennesima ripetizione ossessiva di rituali sociali che vengono svelati in tutta la loro nudità. E in questo svelamento emerge una natura umana fragile e ingabbiata in schemi fatti più di significanti che di significati.
La rottura della quotidianità rassicurante del senso viene perpetrata per novanta minuti attraverso scene variegate: dal divorziato padre amorevole che palesa tutta la sua rabbia per un figlio di cui è divenuto schiavo, al precario che sommessamente china il capo dinnanzi alla voce grossa del padrone, di volta in volta impersonato dal capo, dalla moglie o dal figlioletto. E la rappresentazione così scivola via fluida attraverso storie fantastiche che ripudiano il lieto fine per trasformarsi in orride orde di zoppi personaggi che si inseguono fino a perdere di vista anche la successione dei corpi nell’inseguimento, dopo aver perso quella del significato tranquillizzante. Il sudiciume delle immagini evocate si infiltra anche in spazi usualmente salvaguardati, come quello dell’amore («Il catarro è un apostrofo giallo tra le parole ti e amo»), dell’infanzia («La prima causa di morte nei paesi sottosviluppati è la giostra») o della morte (il brigadiere che ossessivamente avverte il maresciallo della sua imminente morte).
I mezzi di Rezza non sembrano avere confini, perché si nutrono di una fantasia perversa e spropositata. Come giustamente sottolineato dallo stesso Rezza, il suo teatro gode di ottima salute senza aver bisogno di ingenti sovvenzioni statali. Bastano pochi drappi rossi per ricreare un intero ospedale con svariati personaggi che ridicolizzano la «medicina delle zigulì», un velo teso sul volto con una diversa disposizione dei capelli schiacciati per ottenere due personalità diverse che parlano tra loro, una sottile mantellina rossa su un corpo saltellante per comporre storie d’amore fetido ma reale.
In questo straniamento dalla banalità delle idee comuni, gli unici ridicoli appigli per il pubblico rimangono schemi formali, come quelli numerici, che vorrebbero imbrigliare una realtà divenuta improvvisamente recalcitrante.
L’intera storia costruita sulle età dei personaggi, che tendono a diventare punti fissi del palco su cui l’attore balza («7-14-21-28»), non fa che esasperare l’evidente necessità sociale di punti riferimento reali, in realtà fondati su astrazioni ideali.
Il cittadino è nudo ed esasperato come l’attore, il voto si trasforma in una confusione di grosse grida tutte troppo simili, in cui fallisce anche il gioco di scovare le differenze. Persino la ricerca è svilita, in quanto nel suo ricercare fideistico finisce per configurarsi come fede religiosa e nel suo scovare un minuscolo pezzo di significato perde di senso e di spinta. Perso il senso, la vita e la stessa rappresentazione teatrale non possono che tramutarsi in danze macabre di corpi che inseguono un significato irrimediabilmente smarrito.
7-14-21-28
di Flavia Mastrella e Antonio Rezza
con Antonio Rezza e Ivan Bellavista
Per maggiori informazioni:
http://www.rezzamastrella.com/newsito/detteatro.asp?det=7-14-21-28
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