“Il mio nome era un altro” di Anna Maria Carpi
di Vanessa Tenti / 21 maggio 2013
Due storie distinte, quella di Marek e quella di Anna, compongono il nuovo libro di Anna Maria Carpi: Il mio nome era un altro (Perrone, 2013). Storie a sé stanti e distanti, ma accomunate dalla genuinità dei sentimenti infantili, che non possono fare a meno di trapelare con onestà in qualsiasi situazione.
Marek nasce in Slovacchia nel 2000 e ha sei anni quando viene adottato da una coppia italiana; Anna invece è nata in Russia nel 1901, e benché sia la figlia naturale dei suoi genitori, non sente con loro alcun legame. Entrambi i bambini sono figli dell’Est Europa ed entrambi vivono con difficoltà un ambiente familiare in cui non si sentono a loro agio, in cui non riescono a sentirsi protetti e compresi.
La sofferenza di Marek è inconsapevole, uno stato d’animo che la sua tenera età non sa interpretare; è un senso di smarrimento, di vuoto d’identità che l’amore dei suoi “nuovi” genitori non riesce a colmare del tutto. Marek è un bambino buono, sveglio e recettivo; eppure le sue azioni sono spesso dominate da istinti incontrollabili, che provocano dolorosi rimorsi quando la pallida luce di una coscienza in formazione li svela.
La sofferenza di Anna è invece oltremodo consapevole: unica sopravvissuta di cinque fratelli, vive nell’ombra delle fotografie dei figli scomparsi che i genitori piangono, pregano e ricordano in ogni loro discorso, frase e pensiero. Anna è solitaria, riservata e prova un costante senso di colpa e di rabbia per la sua vita intatta; la sua curiosità, la necessità e la voglia di vivere che appartengono alla sua età la allontanano dal sentirsi parte di una famiglia che vive nell’angoscia e nel dolore. L’unico posto in cui si sente al sicuro è all’interno delle pagine di quei pochi libri che legge con voracità e che la portano lontano dalla tristezza quotidiana in cui rischia di annegare.
È appena iniziato il cammino di Marek e dei suoi genitori verso un equilibrio emotivo e identitario, ed è appena iniziata la scalata di Anna verso il modello di donna che vuole un giorno diventare. Da un lato l’affetto incondizionato di due persone che sanno cosa significa la parola amore, dall’altro la fiducia di chi sa riconoscere la forza vitale dell’ambizione e dell’affermazione sociale, anche in una bambina nata senza la parvenza di alte prospettive per il futuro; i percorsi di Anna e Marek sono iniziati sotto il segno della sconfitta, ma l’autrice apre alla speranza di una rivincita sul destino.
Anna Maria Carpi mette in relazione emotiva le due storie – i due giovani protagonisti alle prese con la vita e con i suoi conflitti di appartenenza e identità – e lascia in sospeso i finali, ma la sua scrittura quanto mai spigolosa e dura, la sua implacabile descrizione di una realtà disagiata e disgraziata, si ammorbidisce nelle ultime battute di ciascun racconto per mostrare il lontano cerchio di luce che si intravede percorrendo anche il tunnel più oscuro.
(Anna Maria Carpi, Il mio nome era un altro. Due bambini dell’Est, Giulio Perrone Editore, 2013, pp. 125, euro 10)
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