“Dove sono gli uomini?” di Simone Perotti
di Cristiana Saporito / 27 maggio 2013
Non è una puntata di Sex and the city. Non c’è Carrie Bradshaw appollaiata davanti al pc, mentre impugna un bicchiere di rosso e le sue migliori massime sull’eterna tenzone tra uomo e donna.
Questo è un libro signori, un saggio di attualità, senza nessuna velleità di fiction. Per quanto anche quella, se ben cesellata, non possa esimersi dall’inchiodare il tempo sulle sue stesse impronte.
E non si può sfuggire, a partire dal titolo, mascherato da domanda solo per non negarci il carnevale di risposte. Lo trovate senza affanno, che troneggia beatamente accanto all’istant book su Andreotti o all’estremo distillato sulla decrescita felice. Perché quello di cui tratta è una tematica sociale di una certa urgenza. Sincopata in diciassette lettere. Dove sono gli uomini? (Chiarelettere, 2013).
Se lo chiede l’autore, Simone Perotti, giornalista e scrittore già noto per altri casi editoriali, come Adesso basta (Chiarelettere, 2009) e Ufficio di scollocamento (Chiarelettere, 2012).
Ma in realtà il coro somiglia a quello del Nabucco.
Possente, vigoroso, sfaccettato eppure unanime. Dentro sono confluiti pareri, prospettive, narrazioni di donne diversissime. Per età, interessi, ceto sociale, topografie estetiche. Insomma, c’è un mondo intero a galleggiare tra le pagine. Tessere lontane che compongono un mosaico omogeneo. Latitudini opposte di aspettative disattese, slanci sgonfiati, futuri amputati in un presente molto indicativo.
Troppo per restare zitte. È un collage di storie quello montato da Perotti, un plotone di racconti che partono da punti irraggiungibili e diventano in fretta affluenti dello stesso fiume: la solitudine.
C’è Barbara, che dopo vent’anni di matrimonio vuole virare altrove, che è stanca di fare mente e braccia della sua stessa coppia. Stanca di capitanare l’azienda di famiglia come fa con la sua casa, con l’equilibrio di cristallo di ogni singola scelta. Stanca di sapere che senza di lei crollerebbe tutto. Desiderosa per questo di sottrarsi al gioco, di vedere se davvero frana. Barbara che rivendica un perimetro di pace, un giardino di giorni innaffiati soltanto per lei. E il marito non capisce. Non può, non è in grado di assecondarla, perché non conosce altri modi di sopravvivere, se non aggrappandosi a sua moglie.
C’è Laura, che s’innamora di Giorgio e della loro intesa, della magia indefinita sgorgata così, da un minuto qualunque. Finché lui, che non rivela mai abbastanza di sé, non inizia a dileguarsi, vaporizzandosi come un deodorante per ambiente, lasciandole annusare messaggi sempre più flebili. Fin quando il silenzio non si apparecchia per bene, tra le candele di Capodanno e una cena già avariata ancor prima di finire in gola.
Giorgio è risucchiato dall’azzardo, dalla voglia di scommettere su tutto, tranne che sul suo cuore.
C’è chi si accontenta di un uomo a metà con un’altra, piuttosto che un mezzo uomo tutto per sé. Perché tanto il quotidiano irromperebbe con richieste smodate, bollette impoetiche, sforzi soffusi che è meglio evitare, lasciandoli in carico a chi è già condannato da un “sì”. E dice “no” a tutto il resto.
E poi ci sono Lorenza, Berenice, Bianca, firmamenti di donne a cui nessuno riscalda le spalle. Donne nuclearizzate, con una sola poltrona, un solo calice destinato a non scontrarsi con un suo simile. Donne inscatolate in quella dimensione, perché l’uomo non c’è. O meglio, come nei migliori sondaggi Doxa, non sa/non risponde. Troppo impegnato a trovarsi, con tutto che oggi i tom tom non scarseggiano affatto.
Troppo incentrato sui capelli da stirare, il suo petto da imbottire di muscoli e steroidi, le sue rughe da notte sbavata da levigare alla svelta, con una cura che anche Liz Taylor avrebbe trovato leggermente vanesia.
Uomini che colonizzano il bagno per ere glaciali, sperimentando sugli zigomi fermenti lattici e principi attivi brevettati dalla Nasa, mentre lei è già pronta da un’ora, malgrado non abbia improvvisato né trucco né abbinamenti cromatici. Uomini che rabbrividiscono davanti a un film horror, che non offrono la cena perché tanto ormai «le ragazze si sono emancipate» e pertanto benedicono la scusa evoluzionistica per risparmiare una quota e comprarsi un bel giochino della Playstation. Uomini che non sanno corteggiare, perché tanto non c’è bisogno, c’è una pletora così folta e impazzita di donne libere e belle che faticare non vale la pena.
Il tempo dell’attesa, quello analogico dei corridoi e dei telefoni col filo, non ha più gran senso nell’era del clic. Dove tutto principia da un “Mi Piace”, per sconfinare in un “Mi piaci” e culminare in fretta in un “Anche basta, grazie”. Quando le strutture mutano così radicalmente, però, sarebbe sciocco imputare la colpa (se di colpa si tratta) a un soggetto soltanto. E Perotti ce lo dimostra ampiamente. Il suo scopo è quello di ascoltare, capire, illuminare zone grigie senza puntare il dito contro un carnefice unico. Il patto si stipula in due. E quindi, se da una parte l’uomo ha paura e fa dietrofront, forse il contraltare è una donna che ha conquistato una centralità complicata da gestire. Che le scivola di mano. Dove per la carriera si rinuncia alla famiglia, dove incontrarsi è uno spazio tra parentesi. Dove il maschio soffre la retroguardia, perché per sentirsi qualcuno è stato sempre abituato a non essere eclissato, ad avere qualcuno accanto che si facesse piccolo per renderlo grande e degno di nota.
Tutto vero, tutto giusto. Un libro che semina amarezza tra i sorrisi e speranza tra le rese. Tutto da leggere per condividere. Al di là di un video su Facebook. Come si fa con un bagaglio unico da portare in due, una sola valigia che pesa parecchio, perché dentro c’è abbastanza stoffa per coprire entrambi.
(Simone Perotti, Dove sono gli uomini?, Chiarelettere, 2013, pp. 208, euro 13,90)
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