“Paulette” di Jérôme Enrico

di / 4 giugno 2013

Campione d’incassi in Francia, arriva Paulette di Jérôme Enrico, commedia scorretta sulle nuove realtà di povertà in Francia e sui modi ingegnosi, non sempre legali, per porvi rimedio.

Paulette è una vecchia acida e razzista che vive in un quartiere degradato e multietnico della periferia di Parigi. La sua vita è fatta di lotte al mercato per strappare le giacenze, salti mortali per campare con la pensione sociale, insulti a denti stretti ai figli della Francia post-coloniale, peccati e reati confessati al parroco di colore – così bravo che «si meriterebbe di essere bianco» – e conversazioni private con la foto del marito defunto in cui rimpiange i bei tempi in cui avevano una boutique gastronomica e vincevano premi per le loro torte. Ha una figlia a cui non riesce a perdonare il matrimonio con un poliziotto d’origine africana e un nipotino mulatto a cui bada senza amore, con risentimento, quando la figlia è costretta a fare gli straordinari a lavoro. Per il resto gioca a carte con tre amiche e guarda la televisione. Un giorno le vengono a pignorare i mobili per i debiti accumulati, incluso l’amato televisore. Paulette si deve inventare qualcosa per sopravvivere. Osservando i ragazzi del quartiere capisce che vendono hashish e decide di provare. Diventa spacciatrice, prima in strada, poi unisce la sua esperienza di pasticciera al nuovo affare e diviene una celebrità. Con la nuova attività troverà il modo di cambiare idea su tante cose della sua vita, partendo dal nipotino Leo.

L’idea di Paulette è venuta, leggendo la notizia di cronaca di un’anziana coinvolta in un traffico di cannabis perché non riusciva ad arrivare a fine mese, a una studentessa del corso di sceneggiatura che Enrico tiene in una scuola di cinema. Partendo dallo spunto dell’attualità Enrico e i suoi sceneggiatori hanno sviluppato una commedia politicamente scorretta in cui si riesce a ridere della miseria, del razzismo, delle persone costrette a vivere sulla soglia di povertà, della recessione economica (tra l’altro il film è uscito oltralpe nella stessa settimana in cui Standard and Poor’s toglieva a Parigi la tripla A).

Viene in mente subito L’erba di Grace (2000), e non può essere altrimenti. I due film sono quasi identici nella premessa della donna anziana e sola che contrasta le difficoltà economiche reinventandosi spacciatrice. A cambiare tra le due pellicole è il punto di vista. Nel film di Nigel Cole, la ristrettezza di Grace è assolutamente personale, legata alla morte del marito e ai suoi segreti, Paulette invece allarga il proprio orizzonte per comprendere anche la realtà sociale di Parigi, e della Francia, di questi primi anni dieci, con le difficoltà dell’integrazione, il multiculturalismo e la globalizzazione che tolgono gli abituali riferimenti culturali. Lo fa senza insistere sulla leva sociologia, ma con una carica di ironia feroce che conquista in fretta con battute e trovate a ripetizione.

La terribile Paulette di Bernadette Lafont (che ha lavorato, tra gli altri, con Truffaut, Costa-Gravas e, soprattutto, Chabrol) è irresistibile nel suo essere spietatamente xenofoba, ottusamente razzista, sostanzialmente stronza. Lafont si libera degli stracci iniziali di Paulette accompagnando l’evoluzione morale del personaggio con un addolcimento graduale dei tratti e dei modi, incarnando una specie di romanzo di formazione della terza età. Le sue compagne di avventura, le tre amiche delle carte che diventano aiuto-cuoche, sono uno splendido coro di ingenuo entusiasmo nell’affrontare criminali e giustizia, in particolare la malata di Alzheimer Renée di Françoise Bertin, ma Dominique Lavanant e la almodovariana Carmen Maura non sono da meno.

Peccato per il sentimentalismo che esplode nella riconciliazione con il nipotino e per il finale, eccessivamente lieto, a cui si arriva attraverso un’improbabile e frettolosa svolta verso l’azione, con tanto di stallo alla messicana con le vecchiette armi in pugno contro gli spacciatori.

Un po’ troppo. Anche solo per riderci su.

(Paulette, di Jérôme Enrico, commedia, 2012, 87’)

 

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