“Doppio gioco” di James Marsh
di Francesco Vannutelli / 28 giugno 2013
Tradire la famiglia per salvare suo figlio. È la paradossale situazione in cui si trova Colette, la protagonista di Doppio gioco di James Marsh, con Clive Owen nei panni di un agente dei servizi segreti britannici.
Belfast 1973, mancano pochi giorni a Natale. Quando il padre le chiede di andargli a comprare le sigarette, Colette non vuole lasciare le collanine con cui sta giocando e manda il fratellino Sean al suo posto. Nei pochi minuti fuori casa il bambino viene raggiunto da un proiettile vagante e muore. Vent’anni dopo Colette è una madre sola che vive con il rimorso della morte di Sean. La rabbia ha portato i suoi fratelli maggiori Gerry e Connor a diventare attivisti dell’IRA, il senso di colpa ha spinto lei a seguirli nelle missioni. Un giorno viene mandata a Londra per piazzare una bomba nella metropolitana, ma viene arrestata prima dell’esplosione. L’agente dell’MI5 che ha guidato l’operazione, Mac, prima le fa vedere dei documenti che dimostrano che a uccidere Sean potrebbe essere stato non l’esercito inglese ma un colpo partito da un’arma dei terroristi, poi le offre una scelta: affrontare il processo e finire in un carcere inglese, lontana da suo figlio, o tornare a casa, a Belfast, come informatrice. Colette accetta la proposta di Mac.
Alla base di Doppio gioco c’è un romanzo, Shadow dancer, scritto nel 1998 da Tom Bradby, giornalista e scrittore britannico inviato nell’Ulster negli anni novanta, che lo ha poi adattato per il grande schermo. Bradby ha sfruttato la propria competenza diretta dell’Irlanda devastata dal terrorismo per confezionare una storia che fonde dimensione privata e pubblica, in cui la trama della politica si intreccia con la storia di una madre e delle sue paure. Trasferendola sullo schermo, Bradby e il regista James Marsh (premio Oscar 2009 per il documentario Man on Wire, dedicato all’impresa del funambolo Philippe Petit tra le Twin Towers di New York) lasciano passare l’antefatto negli anni settanta e poi abbandonano immediatamente la dimensione intima e sentimentale della vicenda, spostando l’attenzione sull’intreccio multilivello di spionaggio e sulle pieghe di thriller politico che animano il film. Non è, in sé, una scelta sbagliata, ma lo scarto tra la prima parte più personale e attenta ai risvolti emotivi di Colette risulta brusco, frettoloso. L’amor di madre che la spinge a tradire i fratelli, rivelandone i piani, è lo slancio iniziale che sbiadisce con l’evoluzione del film. Il senso di colpa che dovrebbe legare Colette ai fratelli nella violenza delle loro rivendicazioni è rimesso all’intuizione dello spettatore, non viene esplicitato o ricordato dopo l’antefatto. Si capisce che lei non vorrebbe essere una terrorista, che vorrebbe una diversa normalità per sé e suo figlio, ma la forza invincibile che convince e costringe la donna a subire (apparentemente) la volontà terroristica dei fratelli non si manifesta mai pienamente, almeno fino al finale che rivela il Doppio gioco, forse anche triplo, del titolo italiano.
Quella che emerge è una certa freddezza nell’esposizione, dovuta forse anche alla prevalente attività di documentarista di Marsh che lo porta a a mantenersi distaccato dalle vicende che filma, senza passare dalla parte dell’osservatore esterno a quella dei personaggi nonostante il materiale dall’alto potenziale emotivo.
L’interesse per il passato recente che ha sempre contraddistinto il lavoro di Marsh sia di finzione (Red Rising) che documentaristico (il recente Project Nim, oltre al già citato Man on Wire) si conferma qui ancora di più: il terrorismo nordirlandese e le mosse oscure dei servizi segreti britannici sono trama ghiotta per sezionare la storia nel particolare, sfruttando l’occasione dell’opera di fantasia per muoversi in totale libertà. Osservando il passato nei frammenti emerge che non ci sono buoni in Doppio gioco, tutti tramano qualcosa e hanno a che fare con una forza più grande che li obbliga: Colette subisce i suoi fratelli, in particolare Gerry, che a sua volta subisce il capo della cellula Kevin che non vuole la tregua tra IRA e Inghilterra; dall’altra parte Mac è tenuto all’oscuro dei veri piani dell’MI5 e si trova a essere passeggero di un treno che credeva di condurre.
Tra tutti questi inganni, l’amore di madre è più forte di tutto il resto, dell’amore per i fratelli, dell’amore di sé, della rabbia politica, ed è l’unico sentimento di cui Marsh sembra ricordarsi.
(Doppio gioco, di James Marsh, 2012, thriller, 100’)
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