“Un anno a Treblinka” di Yankel-Yakov Wiernik
di Marina Martellato / 2 luglio 2013
Un anno a Treblinka di Yankel-Yakov Wiernik (Mattioli 1885, 2013) è il racconto straziante e spietato di uno dei pochissimi sopravvissuti al campo di sterminio di Treblinka, ultimo dei lager a entrare in funzione nell’est della Polonia occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. È più di un racconto: è una testimonianza diretta. La testimonianza di un uomo che per tutta la vita rimarrà affetto dalla sindrome del sopravvissuto, e che sarà anche uno dei testimoni che il 6 giugno del 1961 deporrà al processo contro Adolf Eichmann, “l’architetto dell’Olocausto”, a Gerusalemme.
Wiernik, falegname nato in Polonia, è catturato dai soldati tedeschi e deportato presso il lager di Treblinka il 23 agosto del 1942, all’età di 50 anni, per rimanervi rinchiuso fino al 2 agosto 1943, giorno in cui nel campo scoppia la rivolta dei deportati di cui lo stesso Wiernik fu uno degli ideatori e “capi”.
A Treblinka non esisteva la tipica selezione vigente negli altri campi di sterminio tra abili e non abili al lavoro: chi vi arrivava aveva come unica direzione sempre e solo la morte. Wiernik, uomo semplice ma astuto, dotato di un grande spirito di sopravvivenza, riesce fin da subito a scampare all’esecuzione immediata, ma nonostante ciò la sua sensibilità e intelligenza gli fanno immediatamente capire in quale abisso è precipitato.
Ben presto viene notato nel campo dai tedeschi e dagli ucraini per le sue grandi doti di falegname e quindi impiegato come responsabile capo dei lavori di ampliamento del campo stesso. Per un anno, lavorando tutto il giorno all’ampliamento di Treblinka, sotto il sole cocente in estate e al freddo pungente in inverno, Wiernik è esentato dalla morte, mentre i suoi occhi e il suo cuore si fanno testimoni e custodi di barbarie e atti spregevoli compiuti verso i deportati. Nessuno veniva risparmiato dall’uccisione sicura e quasi tutti andavano incontro alla morte nelle camere a gas.
Mano a mano che i giorni passano, però, la sete di vendetta, di rivolta, la dannata voglia di fuggire verso la salvezza crescono: «Caro Lettore, è solo per te che continuo a vivere questa mia miserabile esistenza, nonostante essa abbia perso per me qualsiasi attrattiva […]. È necessario raccontare al mondo l’infamia di quei barbari, così che i secoli e le generazioni a venire possano esecrarli. E sarò io a far sì che ciò accada».Queste le parole di un uomo che ha visto e vissuto sulla propria pelle uno degli orrori più grandi della Storia e che ha voluto lasciare ai posteri il suo terribile racconto, attraverso parole semplici e immediate. Scrivere diventa quindi una via per alleviare, in qualche modo, un dolore che lo ha accompagnato per tutto il resto della sua esistenza, per alleggerire quel fardello fatto della morte di vittime innocenti e che gli ha pesato continuamente sull’anima, nonostante la sua innocenza.
Un anno a Treblinka lascia in chi lo legge un vuoto dentro, nel profondo, lì dove stanno i sentimenti, le fragilità, i dubbi. Parole scritte che devono essere lette: per non dimenticare mai, nemmeno oggi. Parole e fatti che vanno e devono essere ricordati. Soprattutto oggi.
(Yankel-Yakov Wiernik, Un anno a Treblinka (con la deposizione al processo Eichmann), trad. di Livio Crescenzi e Silvia Zamagni, Mattioli 1885, 2013, pp. 137, euro 12,90)
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