“NW”: incontro con Zadie Smith

di / 3 luglio 2013

L’hotel Boscolo Exedra è il tipico hotel dove si pensa di poter intervistare un personaggio come Zadie Smith – in occasione dell'uscita del suo ultimo romanzo, NW (Mondadori, 2013) – e Zadie Smith l’idea di Zadie Smith – turbante rosso, occhiali, intelligenza vertiginosa –, il suo impatto sulla cultura e sulla narrativa mondiale degli ultimi quindici anni, gli infiniti dedali invisibili che l’hanno portata a essere una delle scrittrici under 30, prima, under 40, ora, più influenti al mondo. Per ovvi motivi è stato impossibile spingersi troppo in profondità, riuscendo comunque ad accarezzare un rarissimo tipo di corteccia celebrale, ma stare a guardare fuori dai cancelli il funzionamento di certe sinapsi risulta comunque appagante quanto per un bambino andare a Disneyworld  e dissolversi nei suoi personaggi preferiti.

Dopo un breve pre-incontro con gli altri blogger, ci accomodiamo in una delle tante sale dell’hotel, attorno a un tavolo di vetro dove poco prima c’è stato un altro incontro con la stampa.  Poco dopo, Zadie ci raggiunge sedendosi accanto all’interprete, il cui aiuto comunque non servirà. A terra, diversi scatoloni con dentro copie di NW.  Nella stanza accanto, la figlia piange, e questo aumenta la sensazione di familiarità che già aleggia nella sala.

Si parte con l’idea che ha portato alla nascita del suo ultimo libro: la scena iniziale, quando Leah viene truffata da Shar che bussa alla sua porta chiedendole dei soldi per un taxi fino all’ospedale dove dovrebbe essere ricoverata la madre. Scene come queste, a Londra, accadono spesso: la disperazione è reale, è tangibile. Da qui, lo spunto per plasmare le vite dei protagonisti.

Si passa per la concezione di lettura come arte, e dunque dell’esercizio costante che serve a migliorarla, giorno dopo giorno; la necessità di concentrazione, come quando bisogna ricordarsi la miriade di personaggi di Game of Thrones, ci dice. Bisogna dedicare tempo alla lettura per affinarsi come lettori, non accontentarsi dell’immediatezza del web. Poi ammette di non seguire alcun metodo durante la stesura dei suoi libri: dopo aver ascoltato per anni le abitudini “da impiegato” di scrittori come Murakami, risulta vicino all’idea romantica di scrittura pensare che tutto possa fuoriuscire dal proprio subconscio.

Passando per le descrizioni ballardiane degli enormi palazzi londinesi e newyorkesi, dove vivono migliaia di persone, dove lei stessa vive, ma nessuno sa nulla di nessun altro, tutti tendono a rimanere nel proprio spazio, a costruire il proprio spazio, impegnati a coltivare le proprie ambizioni; un distacco non scaturisce dall’architettura, ma dall’uomo stesso che decide di tenere a distanza l’altro.

L’illusione del raggiungimento della felicità attraverso la scalata sociale, l’imborghesimento che non porta a un vero senso di appagamento: un lavoro, un marito (una moglie), una casa, tutto subito per arrivare, ma per arrivare a cosa? E con e contro chi stiamo gareggiando?

La sua North West London come la Dublin di Joyce? Lei glissa un po’, spostando l’attenzione sull’amore nei confronti dello scrittore irlandese, per le sue opere e per il suo approccio alla vita, contrapponendolo a quello nichilista di Beckett – «perché fare un figlio se poi morirà?».

L’autofiction, la difficoltà nel capire dove inizia la realtà e dove la finzione; la sua passione per il graphic novel che l’ha spinta a inserire Daniel Clowes e Chris Ware in The book of other people, antologia di racconti da lei curata: il graphic novel è letteratura.

I problemi con la traduzione: come posso rendere in un’altra lingua una situazione colloquiale senza che il senso venga stravolto e reso ambiguo? Ad esempio, in Francia, ai personaggi di colore di solito associano un determinato slang di strada: questione che limita tutte le possibili sfumature che quella frase, che quel romanzo, può assumere.

Poi, verso la fine, i condizionatori continuano a sparare aria fredda e fuori il sole inizia piano piano a calare, Silvia di Finzioni le chiede di fare il nome di un personaggio letterario con cui andrebbe a cena volentieri e flirterebbe un po’; la domanda la spiazza, lei ci pensa, ripete meccanicamente che è davvero una buona domanda, sbuffa, prova a rispondere, ma niente, non riesce a tirare fuori nulla, ci sarebbe bisogno di molto altro tempo.

Sarà per la prossima volta.

 

 

Grazie ad Anna Da Re di Mondadori per aver reso tutto questo possibile, a Silvia Dell’Amore di Finzioni, Patrizia La Daga di Le ultime 20, Gloria Ghioni di La Critica Letteraria, Giuseppe Fantasia dell’Huffington Post per il bellissimo pomeriggio passato insieme e ovviamente a Zadie Smith per la sua gentilezza e disponibilità.

(Zadie Smith, NW, trad. di Silvia Pareschi, Mondadori, 2013, pp. 353, euro 18)

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