“La ragazza che fermò il tempo” di J.M. Tohline
di Anna Quatraro / 11 luglio 2013
Ci sono personaggi che costituiscono la ragione d’essere di una narrazione, perché dotati di una fascino trascinante e compulsivo con il quale assoggettano il lettore alla loro volontà. Forse perché custodiscono una segreta armonia che si espande dal mondo fittizio al nostro senza soluzione di continuità: Lenore, la protagonista del romanzo d’esordio del giovane J.M. Tohline, La ragazza che fermò il tempo (Elliot, 2013), è una di queste creature rare.
Dopo un grave incidente aereo al quale sfugge per una fortunata distrazione, Lenore decide di fingere di essere morta, come tutti gli altri passeggieri,e studiare le reazioni della famiglia del marito, Chas Montana. Nello stesso periodo, un giovane scrittore, Richard Parkland, si riposa a Nantucket, nella villa di un amico, diventando il vicino preferito dei Montana.
Richard crede che la pace del soggiorno potrà giovare alla stesura del suo secondo romanzo, ma in breve si ritroverà fagocitato dall’incanto invincibile di Lenore, fino a scoprire, da osservatore attivo, un ciclo inesorabile di confessioni e sotterfugi sentimentali. Mentre Chas ripensa ai suoi sbagli, domandandosi se il suo tradimento non abbia offeso la natura preziosa di Lenore, Jez e Maxwell, il fratello minore di Chas, rincorrono i sogni passati. A poco a poco, in un gioco di distanze e intimità, si schiudono quesiti essenziali: Chas, troppo distratto e debole, sarà ancora uno sposo degno agli occhi di Lenore? Davvero, come spiega il nonno alla nipote orfana, con umile pragmatismo,vale più la tensione etica verso un ideale che il suo raggiungimento? Allora, non sono che miseri palliativi sia il romanticismo appena vagheggiato da Maxwell che la realtà degli incontri fra Lenore e Jez, uno dei migliori dipendenti del signor Montana? E, infine, chi sceglierà la divina Lenore, «morta due volte perché morta così fanciulla», come recita l’epitaffio di Poe dell’esergo?
A lei spetta la difficile valutazione del legame coniugale con Chas, in base alla quale potrà rescindere il dilemma fra la fuga o l’adattamento al matrimonio. La sola alternativa per non cedere al sogno tragico di Jez sarà accettare il pentimento sentito di Chas: ma questo scenario non è esente da prezzi simbolici da versare, molto attigui al dramma di Gatsby.
L’originale titolo The Great Lenore, evidenza bene la sfolgorante eco del celebre romanzo di F.S. Fitzgerald, un’eco che fluttua sinuosa nel romanzo e nelle narrazioni secondarie. Di fatti Tohline indaga una struttura già costruita, divertendosi a creare piani narrativi abilmente intrecciati che insistono sul ricordo e sul rimpianto e sulle derive affettive che disperdono i destini umani.
Brulicante di lucidi flashback narrativi, la prosa di Tohline, incalzante e luminosa,si nutre del tributo reverenziale a Il Grande Gatsby, con il quale le analogie sono marcate nell’impronta stilistica, nelle carezze ruffiane della chiusa e nell’ossessivo riemergere di dettagli mutuati da Fitzgerald, come il narratore interno al romanzo, ma non alla vicenda narrata. Nei confronti di Lenore, l’autore sottolinea nei delicati versi di E.A. Poe, i contorni ambigui di una bontà mite e fatale, un candore che uccide. Di certo a Tohline va il merito di modelli ambiziosi, tuttavia nonostante l’espressività nitida ben trasmessa dalla traduzione di Chiara Rea, si può affermare che l’opera brilli di insistente luce riflessa, con l’effetto di forzate imitazioni che nuocciono agli slanci lirici e alle scelte narrative più riuscite proprio perché autentiche.
(J.M. Tohline, La ragazza che fermò il tempo, trad. di Chiara Rea, Elliot, 2013, pp. 192, euro 18)
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