“È così che la perdi” di Junot Díaz
di Serena Agresti / 7 ottobre 2013
Leggere è scoprire che un libro riserva sempre qualcosa di nuovo, che le parole possono succedersi in un ordine originale e diverso, creando immagini parlanti. Questo è quello che riesce a Junot Díaz nel suo terzo libro, È così che la perdi (Mondadori, 2013), una raccolta di racconti sulla vita degli immigrati dominicani negli Stati Uniti attraverso cui l’autore descrive, con parole scarne, il mondo di tanti personaggi, centrali e laterali, dando vita a una composizione a più voci: esistenze multiple legate assieme da un senso di ineluttabile tristezza, da un implacabile cinismo e da un’inestinguibile nostalgia della patria.
In un tempo non cronologico, si snodano i racconti incentrati sull’infedeltà quasi patologica dell’uomo dominicano, affetto da una sorta di bisogno irrefrenabile di conquista, come quello di Yunior, alterego dell’autore, protagonista ricorrente, che dopo anni di fidanzamento, peccando di superficialità, lascia che la fidanzata scopra cinquanta diverse relazioni fedifraghe. Dopo vani tentativi di recuperare, finalmente abbandonato, Yunior cade in un baratro di afflizione e di incapacità che lo rende più umano, che gli permette di emozionarsi ogni volta che torna a Santo Domingo, suo luogo natio, «a cui non pensi finché non lo hai perduto, che non riesci ad amare finché non l’hai abbandonato».
Le debolezze umane, le smanie, sembrano sempre avere la meglio sulla ragione e il machismo condiziona il destino di ogni personaggio maschile. Anche di quel bambino che, lasciatosi alle spalle un mare cristallino, si ritrova a giocare in mezzo alla neve tra una discarica e una metropoli, e che crescendo finisce per assomigliare inesorabilmente al padre-marito inaffidabile e traditore, che abbandona la sua famiglia; al fratello malato di cancro che persevera nell’irragionevole condotta di vita, dimenticandosi della madre disperata; all’amico sposato che gestisce, con inaudita tranquillità, due famiglie.
Sorprendente è vedere lo stesso mondo dalla dimensione femminile, vissuto dalla donna dominicana. In “Otravida, otravez”, Yasmin, che lavora duramente ogni giorno, è legata a un uomo che ha già una famiglia a Santo Domingo. La donna che vive inseguendo un futuro dignitoso con il compagno, finirà per rimane profondamente turbata dal passato di questo.
Junot Díaz, quarantaquattrenne naturalizzato statunitense, vincitore del premio Pulitzer nel 2008 con La breve favolosa vita di Oscar Wao, è considerato un talento naturale e sembra confermarlo con questo suo terzo lavoro. È così che la perdi, costruito sulla vita in dettaglio, apre a temi generali come il rapporto uomo-donna, l’integrazione, la scoperta di sé e lo fa con un linguaggio chiaro, leggero, ma diverso. Una prosa asciutta che passa dal registro colloquiale a quello letterario, regalando momenti di malinconica poesia, nuovamente interrotti da elementi linguistico-stilistici propri dello slang di strada. Meritevole anche il lavoro della traduttrice, Silvia Pareschi, che preserva la musicalità dell’originale rispettando la commistione di inglese e spagnolo cercata da Díaz.
(Junot Díaz, È così che la perdi, trad. di Silvia Pareschi, Mondadori, 2013, pp. 169, euro 16)
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