“Si può fare” di Birgit Vanderbeke
di Giuliana Pagliari / 16 ottobre 2013
In un mondo in cui si preferisce buttare ogni oggetto al primo accenno di deterioramento piuttosto che aggiustarlo, Si può fare (Del Vecchio, 2013) ci fa scoprire la bellezza e la semplicità di condurre una vita con la voglia e la gioia di rimboccarsi le maniche e pensare positivamente.
Si può fare è la storia di due ragazzi che semplicemente non sono fatti l’uno per l’altra. Da una parte lei, logopedista proveniente da una famiglia borghese, e dall’altra Adam Czupek, artigiano tuttofare con le mani sporche di grasso fin da quando era bambino. Eppure forse sono proprio le differenze a portare questi due mondi ad avvicinarsi, innamorarsi e diventare una famiglia, contrastando i pareri di genitori ed amici.
Seppure la voce narrante sia Birgit Vanderbeke in prima persona, appare chiaro fin dal principio che il vero protagonista è Adam, che tutto ruota intorno alla sua figura ed alle sue convinzioni.
«Si può fare» è proprio la risposta che Adam ha per qualunque tipo di domanda, che sia aggiustare un tubo che perde, risistemare una bicicletta arrugginita trovata accanto alla spazzatura, improvvisarsi muratore per piccole ristrutturazioni, o impegnarsi a rimettere in piedi una fattoria. Secondo Adam semplicemente si può fare tutto, anche ciò che ci sembra impossibile, se solo riusciamo a immaginare di poterlo fare. Questa positività lo porta non solo a riempire la casa di qualunque tipo di oggetto trovi abbandonato e rovinato, da un aquilone a una panchina da giardino, ma anche a guardare al futuro con una speranza che il mondo consumistico in cui viviamo spesso ci fa dimenticare.
È proprio in risposta a queste speranze che la famiglia di Adam si rafforza, mette al mondo due bambini, e decide di lasciare Berlino per farli crescere in campagna, precisamente a Illmenstett, «mammamialaggiù». Così il maggiore Anatol e la piccola Magali hanno l’opportunità di crescere accanto a una fattoria, giocando con pulcini e cavalli e imparando che coltivare la terra è il modo più divertente di passare i pomeriggi.
Sullo sfondo di questa nuova vita bucolica si affaccia anche il tema degli immigrati, quando inizia la frequentazione di una famiglia turca, gli Ozylmaz, che portano un intreccio di tradizioni e credenze differenti. Bora, il figlio degli Ozylmaz, diventa un ottimo compagno di giochi di Anatol, confuso e incredulo del fatto che quel ragazzo sia continuamente preso in giro nel cortile della loro scuola solo perché ha la pelle un po’ più scura degli altri.
Si può fare è anche e soprattutto il racconto di oltre vent’anni di storia tedesca ed europea in generale, passando attraverso la caduta del Muro, la nascita di nuove speranze per un futuro migliore e l’avvento della globalizzazione.
La voglia di Adam di mettersi in gioco, di buttarsi a capofitto in ogni situazione e, più in generale, di fare, ha fra le motivazioni anche la convinzione che altrimenti arriveremo a scordarci qualunque azione, anche la più semplice: «Adam trovava sempre qualcosa di decente da strappare alla caducità, da portarsi dietro in un futuro, consacrato, secondo la sua ferma convinzione, alla più tremenda follia e al disastro perché quelli ci avrebbero portato a un punto tale da ritrovarci talmente stupidi da non poter più pelare le patate, e saremmo stati del tutto incapaci anche di riattaccarci un bottone».
Per quanto i ritmi delle nostre vite si stiano facendo sempre più frenetici, sarebbe bello pensare di poter mantenere tutte le conoscenze che i nostri nonni e genitori ci hanno tramandato con tanto impegno. Eppure al giorno d’oggi molti ragazzi non sarebbero capaci di riattaccarsi un bottone o di cucinare, figuriamoci di effettuare piccole riparazioni. Come possiamo quindi stare tranquilli ed essere certi che le previsioni di Adam non si stiano già avverando?
(Birgit Vanderbeke, Si può fare, trad. di Paola Del Zoppo, Del Vecchio Editore, 2013, pp. 149, euro 13)
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