“Cani sciolti” di Baltasar Kormàkur
di Francesco Vannutelli / 25 ottobre 2013
Partendo dal fumetto 2 Guns di Steven Grant, riscritto per lo schermo da Blake Masters, Baltasar Kormàkur dirige Denzel Washington e Mark Wahlberg nel poliziesco Cani sciolti, presentato all’ultima edizione del Festival di Locarno dove si è aggiudicato il Variety Piazza Grande Award.
Bobby Trench e Marcus Stigman sono in affari con Papi Greco, boss della malavita messicana specializzato nel traffico di droga attraverso il confine con gli Stati Uniti. Sono nel giro da un anno, lavorano in coppia e pensano che sia arrivato il momento di fare altri soldi. Decidono di rapinare una piccola banca di provincia, la banca dove Greco ha depositato parte dei soldi del narcotraffico. Sono circa tre milioni di dollari, ma quando i due arrivano al caveau, trovano molti più soldi ad aspettarli. Non sanno di chi siano, come non sanno molte altre cose. Come ad esempio che Bobby è un agente infiltrato della DEA, l’antinarcotici, che ha il compito di incastrare Papi Greco proprio con i soldi della banca, risalendo alla loro provenienza, o che anche Marcus è un agente sotto copertura, dei servizi segreti della marina militare, però, con esattamente lo stesso incarico di Bobby. Fanno lo stesso gioco, in sostanza, solo che non lo sanno.
Classico buddy movie nella variante cinema d’azione, Cani sciolti gioca con tutto il repertorio di cliché della strana coppia di duri che si scambia battute, frecciate, minacce, fino a cementare un’amicizia invincibile. Strizza un po’ l’occhio a The Departed nel doppio livello di infiltramenti, anche perché procedendo con lo sviluppo della trama la rete di doppigiochi cresce fino a lasciare, come nella migliore delle tradizioni, i due agenti in incognito totalmente isolati, senza il supporto delle istituzioni. Perché un poco alla volta viene fuori che il superiore di Mark Wahlberg vuole tenersi i soldi per sé, scaricando la colpa sul suo infiltrato, mentre il capo della DEA viene ucciso da un agente della CIA che vuole recuperare i soldi, quelli che Trench e Stigman non si aspettavano di trovare, in quanto parte di un fondo nero frutto degli accordi illegali tra agenti corrotti dell’intelligence e i signori dei cartelli messicani.
A emergere, tra la polvere del deserto texano sollevata dalle auto che si inseguono, è un pessimismo, piuttosto pronunciato, sullo stato di salute della sicurezza pubblica statunitense nei rapporti con il grande narcotraffico di matrice sudamericana. Non c’è nessuno, dei tre corpi di vigilanza protagonisti di Cani sciolti, che faccia prevalere il senso del dovere, o la responsabilità nazionale, sull’interesse privato. È questo a differenziare, e riscattare, in parte Cani sciolti dal nugolo di film d’azione prodotti ogni anno. Senza perdersi in moralismi o costruzioni politiche troppo complesse, riesce a spostare l’obiettivo, seppur di poco, dalle sparatorie per inquadrare una realtà di corruzione e ipocrisia che lascia i singoli agenti soli, o ridotti a semplici pedine da sacrificio, nella lotta contro la droga.
Per il resto non è che il film offra molto di originale o di inatteso, ma la coppia Washington-Wahlberg funziona nel dosaggio di machismo e buffoneria sempre sul filo della provocazione reciproca, con dialoghi che sanno colpire nel segno, come con la teoria secondo cui sarebbe meglio evitare di rapinare banche che abbiano vicino il bar che vende le migliori ciambelle della città, calamita naturale per i poliziotti nell’immaginario statunitense.
Baltasar Kormàkur, islandese, in patria si dedica a film intimisti e attenti alla dimensione sociale (101 Reykjavik, Il mare). Negli Stati Uniti si sta affermando, dopo Contraband, come uno dei più abili registi di action.
(Cani sciolti, di Baltasar Kormàkur, 2013, azione, 109’)
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