“La moglie” di Jhumpa Lahiri
di Linda Pietropaoli / 28 ottobre 2013
Ci sono libri che a leggerli si innesca in automatico l’immaginazione e si configura nella mente, come in una ideale sala cinematografica, la serie di fotogrammi. È il frutto di una particolare alchimia tra parole e pensiero. Non sapremmo dire se questo faccia o meno di un testo un bestseller della letteratura mondiale. Di certo lo caratterizza come particolare e forse da non perdere.
Jhumpa Lahiri, scrittrice statunitense di origine indiana, premio Pulitzer nel 2000, nel suo La moglie (Guanda, 2013), dà prova della magistrale capacità che hanno alcuni scrittori di calare completamente il lettore nella loro storia. Se si è letto abbastanza, si comprende che questo risultato non è dato in realtà dalla semplice somma di più particolari e pagine su pagine di descrizioni, bensì dal sapiente dosaggio di pochi ingredienti. Stupisce per esempio notare come in questo testo si spendano fior di battute su luoghi, ambienti e profumi e quasi nulla sulle descrizioni fisiche: si descrivono con dovizia di particolari tinte e abiti ma non ci sono che pochi cenni a occhi, capelli o altro. La caratterizzazione dei protagonisti è ugualmente affidata per intero o quasi alle loro stesse azioni, non c’è insomma una palese introspezione dei personaggi: ciononostante il loro spessore è indiscusso.
Subhash e Udayan sono due fratelli degli anni Sessanta bengalesi, nati a poco più di un anno di distanza l’uno dall’altro, ma considerati da tutti gemelli inseparabili. A distinguerli soltanto lo spirito: pacato, avveduto e riflessivo il primo, inquieto, anticonformista e temerario il secondo. La vita riserverà loro destini diversi ma il radicale allontanamento fisico tra i due (un oceano a dividerli) si trasformerà, alla fine, in una sovrapposizione delle loro vite: quando Udayan, rimasto in India a combattere al fianco del suo popolo, verrà sconfitto, a Subhash, così diverso, così lontano, toccherà prendere il suo posto. Emblematico a questo punto il ruolo di Gauri, la moglie cui fa riferimento il titolo italiano, giovane indiana sposata da Udayan contravvenendo a tutte le tradizioni: lei e la vita che porta in grembo resteranno nella storia e nella vita di Subhash come l’unico rimando al fratello.
La moglie è un testo estremamente ricco, un librone di quasi cinquecento pagine in cui viene illustrata una gran quantità di situazioni materiali, storiche, sentimentali e psicologiche: c’è l’illustrazione di una terra magnifica dai caratteri e dai costumi millenari e tutte le sue contraddizioni; ci sono la storia del ’68 indiano al tempo delle rivolte dell’India filo-maoista e il resoconto di un’epoca; c’è il racconto della vita di due fratelli, quasi gemelli, con tutti i sotterranei e profondi conflitti che questo determina; ci sono l’omicidio e l’odio fratricida, c’è l’amore, c’è la morte e c’ è il dolore. No, decisamente se si sceglie questo libro non ci si può aspettare una storiella lineare e prevedibile, perché tale non può essere l’acuto scandaglio dell’animo e delle sue infinite capacità di concepire sentimenti e situazioni emotive, magari sgradevoli, magari foriere di vergogna e al limite dell’accettabile, ma lecite, proprio perché umane.
(Jhumpa Lahiri, La moglie, trad. di Maria Federica Oddera, Guanda, 2013, pp.424, 18 euro)
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