“L’anno di vento e sabbia” di Roberto Delogu

di / 13 novembre 2013

«Papà aveva commissionato una bella lapide con un epitaffio vagamente polemico che recitava: “Dopotutto non ci ha fatto annoiare”. Meno male che il titolare dell’impresa funebre era un mio affezionato cliente che si è ripreso indietro il marmo con poche spese».

L’ironia di Gigi, il giovane protagonista di L’anno di vento e sabbia, romanzo di Roberto Delogu (Hacca, 2013), delinea a poco a poco un vivace microcosmo familiare, allentato dalla separazione fra i genitori: all’instabilità fra la madre e il padre, descritti con brevi osservazioni, si unisce la ricerca di leggerezza dello sguardo del figlio.

La nostalgia acquarellata del padre che intona le canzoni di Lucio Battisti accompagna il percorso di crescita di Gigi, che vive, fra partite di calcio e prime cotte, anche le difficoltà di comprendere gli anni di attentatati che attanagliano la sua coscienza. La madre, dopo aver studiato Belle Arti, si divide fra Cagliari e Roma, giusto perché «ogni tanto gli adulti hanno voglia di stare da soli».

Quando Gigi assiste alle udienze conclusive del processo a una cellula sarda delle Brigate Rosse, la realtà sismografica e densa degli anni di piombo gli si palesa in tutto il suo inquietante misto di rigore e ingenuità ideologica. In una scena dai toni semplicisti, Gigi interroga un giovane brigatista, Cosimo, la cui versione va a creare sospetti sul passato della madre. «Aveva ragione quando sosteneva che non era possibile cacciare la vecchia classe politica con metodi democratici. Quello che però, ai tempi non poteva sapere è che la loro rivoluzione non sarebbe servita a nulla. Terminato lo slancio del successo, gli antichi marpioni si sarebbero rifatti il trucco e sarebbero tornati; i pochi nuovi, come nella Fattoria degli animali, sarebbero diventati peggiori dei vecchi».

A poco a poco Gigi vede infranta la ragionevolezza delle sue convinzioni e si accorge delle reali intenzioni della madre. La contrapposizione fra il ragionevole realismo di Gigi e l’errore, l’estrema coerenza di chi ha dichiarato guerra alla democrazia è un tema già a lungo dibattuto, diafano e poco incisivo nella seconda metà del romanzo. La metafora del vento è legata a una nostalgia di orme invisibili, eppure sono onde lente che si scontrano con uno stile che imprigiona lo sforzo di immaginazione del lettore, colpito invece dalla scarsa totalità della narrazione.

(Roberto Delogu, L’anno di vento e sabbia, Hacca, 2013, pp. 152, euro 14)

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