[RomaFF8] Giorno 6: “Gods Behaving Badly” e “Blue Sky Bones”
di F. Vannutelli e I. Accinni / 14 novembre 2013
L’esordio alla regia del produttore Marc Turtletaub arriva in anteprima mondiale Fuori concorso all’Auditorium per il Festival Internazionale del Film di Roma.
C’è da dire dire subito che Turtletaub farebbe meglio a rimanere lontano dalla macchina da presa, e dai copioni, e continuare la sua ben più convincente attività di produttore, perché Gods Behaving Badly è un film che non funziona proprio per regia e sceneggiatura.
Se l’idea di partenza, seppur non completamente originale e recentemente portata al cinema con la saga di Percy Jackson, potrebbe avere un potenziale interessante, lo sviluppo della trama si perde in confusione di generi e registri incapace di conferire a Gods Behaving Badly un’identità definita.
Siamo nella New York di oggi. In una grande casa vivono tutti insieme gli dei dell’Olimpo. Da quando gli umani hanno smesso di adorarli hanno visto indebolirsi i loro poteri e si sono dovuti reinventare nel mondo. Dioniso lavora nei locali notturni, Afrodite vende trattamenti di bellezza, Apollo fa l’indovino in tv, mentre Zeus rifiuta la vita mortale e vive rintanato in soffitta a ricordare la gloria del passato. Sarà un capriccio di Apollo, invaghito dell’umana Kate per una freccia scoccata da Eros su ordine di Afrodite, a mettere a rischio la sopravvivenza della Terra. Neil, umano innamorato di Kate, dovrà calarsi negli Inferi per convincere Ade ad aiutare suo fratello Zeus.
Con le premesse ci siamo: Turtletaub gioca con la mitologia greca (con le consuete licenze e dimenticanze di Hollywood quando si confronta con la cultura europea) e i suoi attori lo seguono e si divertono. Le trovate non mancano (i mestieri, l’iperefficienza di Ade che con foga imprenditoriale vuole creare un Oltretomba migliore del mondo emerso), ma non basta reclutare Christopher Walken come Zeus, Sharon Stone come Afrodite, Oliver Platt per Apollo o John Turturro nei panni di Ade, per fare un film riuscito. Le star ce la mettono tutta, ma, serviti da dialoghi minimi e con un intreccio che non si definisce in alcun modo, Gods Behaving Badly vaga per novanta minuti senza essere un film comico, fantasy o una commedia romantica prima di spegnersi nell’inevitabile e totale lieto fine. Una buona idea sprecata.
In Concorso ufficiale si è visto intanto Blue Sky Bones, opera prima di Cui Jian, vera e propria leggenda del rock cinese, voluto direttamente a Roma dal direttore artistico Marco Müller. Fresco vincitore del Premio Tenco, il regista è definito dai più come il Bob Dylan d’Oriente. Lo spunto di questo film viene proprio dal testo di una canzone dello stesso regista-rockstar, «mia madre è uno schianto, mio padre una spia e io un hacker». La trama, a tratti confusa, complessa e poco lucida, affronta una storia d’amore controversa, sofferta e melanconica. Un film drammatico ambientato in una Pechino nel pieno del fermento della Grande Rivoluzione culturale.
Blue Sky Bones è il dramma esistenziale e generazionale di una intera Nazione. È allo stesso tempo un film delicato e profondo, con momenti di lentezza e ripetitività, capace però di scavare nell’animo più puro e nascosto di una Cina per noi spesso impenetrabile e ancora troppo distante. La visione risulta interessante proprio per quella voglia di scoprire un mondo e un pensiero che forse è solo apparentemente chiuso. Sorprende la voglia di quella parte di Cina che vuole reagire e mostrare le proprie capacità. Questo dà lustro ad un film che merita a tutto gli effetti la rassegna internazionale.
Il menestrello di Tien An Men ha deciso di osare e sfidare un assoggettamento culturale ancora oggi forte, ancora oggi indecoroso. Il buon film presentato a Roma è il primo e timido riscatto sociale di un intero Paese. Un film triste dove una famiglia non vedrà mai la felicità tanto sospirata, la libertà mai assaporata. Blue Sky Bones è la ricerca tra le fratture sociali e culturali di quelle radici profonde di un paese in continua contraddizione. La famiglia del film ne è solo il riflesso. Quelle di Cui Jian sono immagini forti e spesso forzate per riuscire a parlare di sesso e amore, di natura e giustizia in un mondo ancora chiuso.
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