“Don Jon” di Joseph Gordon-Levitt
di Francesco Vannutelli / 26 novembre 2013
Per il suo esordio da regista, Joseph Gordon-Levitt (dal 2010 a oggi apparso in otto film tra cui Lincoln e l’ultimo Batman) decide di confrontarsi con una materia insolita per i canoni hollywoodiani, la dipendenza da pornografia, inserendola in uno dei registri classici del cinema come la commedia sentimentale.
Jon Martello Jr. ha una vita che lo soddisfa basata su una serie di certezze: il suo appartamento, la sua macchina, il suo corpo, la sua famiglia, la messa della domenica, i suoi amici e le sue ragazze. Un sistema di valori rigidamente piantato nelle sue convinzioni e nelle sue abitudini su cui predomina un solo momento di concentrazione ed estasi individuale. Il momento del porno. Perché Jon è fissato con la pornografia online. È un rituale che si concede ogni giorno, più volte al giorno, secondo un codice che si è preoccupato di stabilire e perfezionare nel tempo. Non c’è niente che gli dia la stessa soddisfazione del rito masturbatorio, neanche il sesso con le infinite conquiste nei locali che gli hanno fatto guadagnare il soprannome di Don Jon. Nelle donne cerca invano quel brivido di smarrimento che trova davanti allo schermo del computer. Pensa di trovarlo in Barbara, ragazza di avvenente bellezza che gli resiste inizialmente per condurlo poi sulla strada del cambiamento, diventando il centro di tutte le sue abitudini. Ma non del porno.
Il contrasto tra sentimentalismo e pornografia funziona e l’esordio di Gordon-Levitt si fa notare per la capacità di inserirsi, anche con un linguaggio registico innovativo, nel filone delle commedie senza timore di essere originale. Il suo Don Jon, da lui stesso interpretato, è un anti-eroe di pratico e semplice egoismo, autoriferito come il suo passatempo preferito e fermo a un’immagine di superficie che si collega all’idea di consumo cannibale che l’immaginario pornografico messo a disposizione dalla rete applica alla sfera sessuale. La sua vita è scandita da cicli precisi di routine, che la regia si preoccupa di sottolineare con indovinate sequenze ripetute in ogni identico dettaglio, che non prevedono deviazioni. Rigidamente cattolico, Jon conosce il peccato, ma anche la confessione, che si concede ogni settimana con un prete invisibile che gli assegna penitenze da vivere come punteggi, senza sviluppare la colpa dal perdono.
A Gordon-Levitt non interessa soffermarsi sulla dimensione della mania del suo Jon quanto piuttosto evidenziare il tessuto di solitudine che veste il suo personaggio e l’immagine irreale che certe proiezioni falsate – il porno per Jon, il romanticismo a tutti i costi per Barbara – riescono a creare della dimensione relazionale.
Non è un film sulla pornografia o sulla dipendenza, come il superfluo sottotitolo italiano vorrebbe far intendere, che l’iperesposizione ai contenuti illimitati di internet può portare, ma un romanzo di formazione sentimentale e sessuale. Jon cresce con l’evoluzione del film passando dalla dimensione onanistica che lo contraddistingue a ogni livello, che lo porta a essere isolato, incapace di comunicare realmente con gli amici o la famiglia, a una dimensione sociale di scambio e reciprocità con gli altri. Centrale al riguardo è l’incontro con Eshter, donna sola e carica di lutto, più grande di lui, che saprà confrontarsi con il suo vizio senza pregiudizio aiutandolo a superarlo.
Se Scarlett Johansson, nei panni molto aderenti della trucida Barbara, incarna un altro tipo di superficie sentimentale, più attenta all’immagine pubblica che al vero senso del sentimento, solo la Eshter di Julianne Moore sembra in grado, tra i personaggi rappresentati, di intendere il senso della condivisione nella sua interezza.
Accanto agli interpreti principali, divertenti apparizioni di Channing Tatum, Anne Hathaway e Cuba Gooding Jr. nei film che Jon e Barbara vanno a vedere al cinema.
(Don Jon – A ciascuno la sua dipendenza, di Jospeh Gordon-Levitt, 2013, commedia 90’)
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