“Hedda Gabler” di Henrik Ibsen, regia di Antonio Calenda
di Simone Mercurio / 19 dicembre 2013
La marziale e gelida figura del generale Gabler domina la scena dall’alto. Compare e scompare nel buio della parete dove è incorniciato e illuminato il suo ritratto, che sembra in qualche modo spiare e quasi condizionare le azioni, le parole, i gesti, gli sguardi dei personaggi sul proscenio. La figlia Hedda soprattutto, donna aristocratica, inquieta, falsa, sgarbata, cinica, a cui la superba attrice Manuela Mandracchia restituisce tutta l’articolazione di un personaggio dal fascino irresistibile ma terribilmente nichilista.
Hedda Gabler è uno dei grandi classici del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, in scena fino al 22 dicembre al Teatro Quirino di Roma nella trasposizione diretta dal regista Antonio Calenda, prodotta dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Compagnia Enfi Teatro.
Il personaggio di Hedda Gabler è certamente uno dei più difficili, febbrili e seduttivi tra le figure femminili dell’immaginario ibseniano, ben cosciente del proprio fascino eppure fragile nella sua intima insoddisfazione, ossessionata dal successo e rapita da un vortice di egoismo ed esiziale intransigenza.
Un ruolo certamente complesso ma fortemente contemporaneo, un testo che, scritto da Ibsen nel lontano 1890, risulta fortemente attuale. Manuela Mandracchia, uno dei nomi di spicco del mondo teatrale italiano, regala al personaggio una recitazione forte ma sensibile e profonda, una assimilazione che lascia scomparire la figura dell’attrice, permettendo al personaggio di venir fuori con tutte le sue idiosincrasie e contraddizioni.
Una donna indomita e istintiva, più Hedda Gabler, nel senso di figlia di un aristocratico generale, che signora Tesman, moglie del giovane studioso Jorgen, interpretato dal bravo Jacopo Venturiero. Per raggiungere libertà e indipendenza, la giovane Hedda non esita a servirsi cinicamente degli altri, sino a spingere al suicidio lo scrittore ed ex amante Eilert Løvborg anche vecchio amico di gioventù del marito.
Løvborg, interpretato dal bravo Massimo Nicolini, è l’alter ego maschile della complessità di temperamento e di carattere di Hedda. Genio e sregolatezza dedito all’alcol e alla vita libera e disordinata, lo scrittore riesce a scrivere, ispirato dalla sua giovanissima e ingenua compagna Thea (interpretata dalla ventiduenne trevigiana Federica Rossellini), un saggio che sembrerebbe avere tutte le potenzialità del capolavoro di una vita. Se non fosse che Løvborg, di ritorno da una delle sue scorribande notturne, smarrisce l’unica copia del manoscritto.
Ad aggiungere pepe a un dramma già a tratti ironico è la figura sorniona e seduttrice del giudice Brack, (un istrionico Luciano Roman) una sorta di consigliere di famiglia più che altro dedito a uno spassoso corteggiamento verso Hedda che si trasformerà in ricatto per un impertinente ménage à trois.
Il regista di origini campane Antonio Calenda, nel riproporre questo classico di Ibsen, è andato sul sicuro con una squadra di attori professionalmente impeccabili. La scenografia è funzionale e semplice, e ha il suo tocco originale e geniale proprio nella sistemazione, al fondo del palcoscenico, del quadro con la figura del generale. Un elemento scenico che sembra sin dal primo accendersi delle luci sul palco, quasi voler suggerire agli spettatori il responsabile reale, l’artefice recondito della personalità irrisolta, in fondo insicura e quasi bipolare di Hedda. «Ibsen è capace di scavare nel pozzo nero dell’inconscio e di raccontare attraverso il suo teatro inquietudini di assoluta attualità» ha commentato il regista nella presentazione alla stampa dello spettacolo «Se da scienziato Freud esterna le proprie scoperte, Ibsen lo fa da artista. Depista, accenna, occulta, ma dalle pieghe del linguaggio» continua «dalle ombre interiori è facile intuire quanti fantasmi incestuosi padre-figlia popolino la scena, quanti drammi psicologici, quanto l’oscurità abbia da rivelare».
Hedda Gabbler di Henrik Ibsen
dal 17 al 22 dicembre al Teatro Quirino, Roma
con Manuela Mandracchia, Luciano Romane con Jacopo Venturiero, Simonetta Cartia, Federica Rosellini, Massimo Nicolini, Laura Piazza
regia Antonio Calenda
scene Pier Paolo Bisleri
musiche Germano Mazzocchetti
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Compagnia Enfi Teatro
Comments